Qualità delle acque e diversità biologica del fiume Marzenego

CONTRATTO DI FIUME MARZENEGO-OSELLINO

Qualità delle acque e diversità biologica del fiume Marzenego

di Pino Sartori*

Parlando di fiumi  e spesso con ingegneri idraulici,  ho avuto  l’impressione che, per formazione culturale, l’ingegnere veda “istintivamente” i corsi d’acqua come risorse economiche da sfruttare – a fini energetici, irrigui, industriali – o come indisciplinati apportatori di calamità, da sottoporre a rigida regimazione.

Dagli anni ’80 sec. scorso, però anche loro sono cambiati e le ragioni dell’ecologia fluviale oggi sono (quasi) paritetiche a quelle dell’idraulica.

Il punto di vista sul fiume del biologo/ecologo, pur partendo dalla consapevolezza  che lui opera partendo dalla dimensione micro, si è formato anche alla dimensione macro, proprio per le peculiarità della stessa problematica che per forza di cose è intersettoriale.

Le onnipresenti irregolarità della morfologia fluviale e la loro mutevolezza spaziale e temporale, la sinuosità del tracciato (che, purtuttavia, tanto si allontana dall’andamento sinusoidale che le forze terrestri impongono a tutte le acque sul pianeta), le isole fluviali, la vegetazione alveale e riparia (fig. 1) e tutti quegli elementi che conferiscono ad ogni fiume una propria individualità erano considerate fattori di “disordine idraulico”, fastidiosi elementi di complicazione dei calcoli idraulici e indisponenti deviazioni da quel “modello ideale” di corso d’acqua (con profilo longitudinale regolare e sezione di forma geometrica, in ogni tratto corrispondente alla portata) che, probabilmente, è il sogno segreto di ogni ingegnere.

Qui di seguito potete vedere l’opera dell’ingegnere su uno dei più bei fiumi d’Italia il Sangro che scende dal Parco Nazionale d’Abruzzo dove vive anche la lontra. Nella fig. 1 il fiume Sangro com’era a monte del ponte di Villa Scontrone e com’è immediatamente a valle (figg. 2 e 3). La buona notizia di questi giorni  (novembre 2016) è che è stato approvato il progetto di rinaturalizzazione di ritorno all’aspetto com’era.

fig. 1 il Fiume Sangro nella sua parte ancora integra.

fig. 1 –  il Fiume Sangro nella sua parte ancora integra.

fig. 2 Il fiume Sangro visto dal ponte dove inizia la sua irrigimentazione idraulica.

fig. 2 – Il fiume Sangro visto dal ponte dove inizia la sua irrigimentazione idraulica.

fig. 3 Altra immagine del fiume Sangro con tre ordini di protezioni cementificate

fig. 3 – Altra immagine del fiume Sangro con tre ordini di protezioni cementificate

fig. 4 Gli aspetti del fiume a confronto in una foto aerea

fig. 4 – Gli aspetti del fiume a confronto in una foto aerea del ponte in località Villa Scontrone, in cui sono iniziati i lavori di regimentazione idraulica.

Immagino, ancora con le sensibilità di adesso, che riflettendo sull’impatto ambientale delle opere fluviali, il primo pensiero dell’ingegnere vada agli aspetti estetico-paesaggistici mentre i popolamenti acquatici, ad eccezione forse dei pesci, vengano dimenticati, o, comunque, considerati di importanza marginale.

In realtà, per il biologo, il “modello ideale” è invece quello “inventato” dalla natura: in esso la forma geometrica, l’ordine, la regolarità sono eccezioni rarissime, quasi impensabili. Proprio quel “disordine idraulico” – più propriamente quella che noi biologi definiamo “diversità ambientale” – riveste, invece, una straordinaria importanza per la funzionalità degli ecosistemi fluviali.

Pertanto in queste occasioni di confronto fra vari approcci, l’ecologo ha la possibilità di collaborare assieme ad altre professioni, alla costruzione di una chiave interpretativa dell’impatto delle opere ingegneristiche-architettoniche ed urbanistiche sugli ambienti fluviali iniziando a tracciare, necessariamente a grandi linee, le necessità del fiume per un suo ottimale funzionamento, in tutti i sensi, compreso quello biologico.

I FIUMI COME ECOSISTEMI VIVENTI

Un corso d’acqua, più che un ecosistema, può essere considerato una successione di ecosistemi. Dalla sorgente alla foce, infatti, variano i parametri fisici (temperatura, illuminazione, pendenza, velocità della corrente, granulometria del substrato, nutrienti, sostanza organica, gas disciolti, ecc.) e, in relazione ad essi, i popolamenti biologici (fig.5).

fig. 5 Zonazione di un fiume montano

fig. 5 –  Zonazione illustrata di un fiume montano

Negli alti versanti montani le acque sono povere di sali e, per la mancanza degli alberi, prive di consistenti apporti terrestri: la base alimentare degli organismi acquatici è rappresentata dalla produzione primaria autoctona (principalmente da microalghe prodotte nell’ambiente fluviale stesso).

Attraversando i versanti boschivi/alberati, giungono al fiume foglie, ramoscelli, spoglie ed escrementi di animali terrestri, mentre l’ombreggiamento riduce la produzione primaria acquatica: si ritrova, quindi, un popolamento sostenuto in gran parte dagli apporti terrestri (interconnessione tra ecosistema acquatico e terrestre).

Scendendo verso valle, l’aumento del tenore in sali disciolti e degli apporti terrestri (particolato organico, sostanze disciolte) favorisce un aumento della biomassa e si registra un maggior numero di specie e di individui; la riduzione dell’ossigeno disciolto (per la diminuita turbolenza e l’innalzamento della temperatura) determina la scomparsa delle specie più esigenti e l’ aumento di quelle più tolleranti.

Il nostro fiume Marzenego è invece un corso d’acqua di natura risorgiva e come il Sile , il Dese, lo Zero, il Tergola, ed altri nasce in un’area comune compresa fra il Brenta e la Piave (fig. 6) raccogliendo le acque che sgorgano dalle falde sospinte dai depositi argillosi  (fig. 7) impermeabili che affiorano nella pianura mediana del Veneto.

fig. 6 il fiume Marzenezo indicato da freccia colore arancio in una carta vene ziana del XVII sec. (freccia arancio )

fig. 6 – Il fiume Marzenego indicato da freccia colore arancio in una carta veneziana del XVII sec.

fig. 7 Sezione degli acquiferi della media pianura che formano le risorgive di vari fiumi

fig. 7 – Sezione degli acquiferi della media pianura che formano le risorgive di vari fiumi

Le sorprendenti specializzazioni e i numerosi adattamenti morfologici, fisiologici e comportamentali degli organismi acquatici alle più disparate condizioni ambientali rendono conto del perché, al variare di queste ultime lungo l’asta fluviale, si accompagni una ben riconoscibile modificazione della composizione in specie delle comunità viventi, che  è stata definita “successione longitudinale” dei popolamenti acquatici. Anche lungo uno stretto transetto fluviale (procedendo da una riva all’altra), le notevoli variazioni delle condizioni ambientali forniscono una grande varietà di microambienti capace, quindi, di ospitare una grande varietà di organismi acquatici.

La sottile patina verdastra che riveste la superficie dei ciottoli fluviali è formata da batteri, funghi, microalghe, ciliati, amebe, rotiferi ed altri microorganismi eterotrofi ed autotrofi  e saprofiti. (fig. 8)

fig. 8 Microorganismi bioriduttori presenti nelle acque dei fiumi e nei fanghi attivi dei depuratori

fig. 8 – Microorganismi bioriduttori presenti sia nelle acque dei fiumi che nei fanghi attivi dei depuratori

Ogni cm2 di superficie dei ciottoli fluviali è quindi un microcosmo popolato da migliaia di microrganismi animali e vegetali, tra i quali si instaurano reti alimentari complesse e intersecantisi, e il cui risultato finale è la demolizione della sostanza organica. In altre parole, il fiume è un silenzioso, ma efficiente, depuratore naturale ed i microrganismi (quelli della figura sono una frazione infinitesima delle specie presenti nella realtà) svolgono per noi, gratuitamente, il compito della depurazione delle acque.

Ma in un fiume vi sono anche organismi, visibili ad occhio nudo sebbene sconosciuti ai più, che svolgono la funzione di “acceleratori” del processo depurante, funzione che l’ uomo non è ancora riuscito a copiare. Anche volendo considerare i soli animali visibili ad occhio nudo, ogni m2 di alveo ciottoloso ospita alcune migliaia di organismi: non è esagerato, quindi, definire i fiumi ambienti brulicanti di vita, molto più vivi di quanto comunemente si creda.

macroinvertebrati

fig. 9 – Chiave per l’individuazione dei macroinvertebrati

Questi macroinvertebrati (fig. 9) svolgono un importante ruolo nella depurazione naturale: frammentando la sostanza organica ne aumentano grandemente la superficie di attacco per i batteri e i funghi; nutrendosi di batteri ne mantengono le popolazioni in fase giovanile, moltiplicativa, quindi di maggiore attività metabolica ed efficienza. Attraverso queste ed altre modalità, i macroinvertebrati accelerano il processo depurante nei corsi d’acqua.

Seguono alcune immagini di esempi di macroinvertebrati

fig. 10. Esempi di macroinvertebrati: Crostacei

fig. 10 – Esempi di macroinvertebrati: Crostacei

fig. 12. Altri macroinvertebrati presenti nelle acque dei fiumi: Insetti e loro stadi larvali.

fig. 11 – Macroinvertebrati presenti nelle acque dei fiumi: Insetti e loro stadi larvali.

fig. 11. Il gambero di fiume (Astropotamobius pallipes) è un crostaceo tipico delle nostre acque limpide e non inquinate.

fig. 12 – Il gambero di fiume (Astropotamobius pallipes) è un crostaceo tipico delle nostre acque limpide e non inquinate.

fig. 13. Larva di tricottero con il tipico involucro che si costruisce a protezione intorno al corpo

fig. 13 – Larva di tricottero con il tipico involucro che si costruisce a protezione intorno al corpo

fig. 14. Altri macroinvertebrati: gli efemerottidi

fig. 14 – Altri macroinvertebrati: gli efemerotteri.

 

fig.15. Un insetto efemerottero (dal grego efemeris = giornaliero). Sono insetti che vivono un brevissimo arco ti tempo.

fig.15 – Un insetto efemerottero (dal greco efemeris = giornaliero). Sono insetti che vivono un brevissimo arco di tempo.

fig. 16. Altri macroinvertebrati: ninfe di Plecotteri

fig. 16 – Altri macroinvertebrati: ninfe di Plecotteri

fig. 17. Altri macroinvertebrati Irudinei ; le sanguisughe.

fig. 17 – Altri macroinvertebrati Irudinei: le sanguisughe.

L’ IMPORTANZA DELLA DIVERSITÀ’ AMBIENTALE

Ciascuno degli organismi visti, di aspetto spesso stravagante, presenta un optimum ed un proprio intervallo di tolleranza delle condizioni ambientali, una posizione nelle reti trofiche, specializzazioni nelle modalità di procacciamento del cibo, nelle strategie riproduttive, ecc.: in altre parole, ogni organismo occupa una propria “nicchia ecologica“. Appare evidente allora che quanto maggiore è la diversità ambientale, tanto maggiori saranno le nicchie disponibili e, quindi, la diversità biologica (il numero di specie diverse che convivono nello stesso ambiente).

La forte sottolineatura posta sulla diversità ambientale è necessaria per far comprendere la limitatezza di quella concezione, ancora largamente diffusa, che prende in considerazione la sola qualità delle acque o che si occupa soltanto dell’impatto a causa dell’inquinamento. Appare ora intuitivo, infatti, che un ambiente fisicamente uniforme, quale può essere un canale artificiale cementificato, o un corso d’acqua “rettificato”, anche se alimentato con acque della migliore qualità, non è in grado di fornire quella varietà di microambienti necessaria a sostenere una comunità vivente ricca e diversificata.

Dalla misurazione/identificazione della composizione delle comunità dei macroinvertebrati pertanto si possono dedurre elementi di valutazione del benessere dell’ambiente in cui vivono. Sono state elaborate delle procedure per campionare e identificare correttamente questi animali nei loro ambienti elettivi e sulla scorta dei rinvenimenti procedere alla classificazione della qualità delle acque.  E’ pertanto più facile capire che la presenza/assenza di una o più di queste componenti vitali del fiume sia elemento indicatore di una alterazione ambientale che si manifesta nel tempo. La misura invece di un inquinante o di un parametro chimico-fisico dell’acqua (Ossigeno disciolto, torbidità, pH, ecc.) è invece limitata all’atto del prelievo e quindi indicatrice del grado di salute del corso d’acqua in quel momento.

fig. 18. Esempio di una scheda di monitoraggio biologico dei macroinvertebrati in un fiume (parte prima)

fig. 18.1 – Esempio di una scheda di monitoraggio biologico dei macroinvertebrati in un fiume (parte prima)

fig. 19. Scheda di monitoraggio biologico di un fiume con i macroinvertebrati (parte seconda)

fig. 18.2 – Scheda di monitoraggio biologico di un fiume con i macroinvertebrati (parte seconda). Nell’ultima riga la valutazione della classe di qualità della stazione.

fig. 19. Diagramma delle classi di qualità con metodo biologico dei macroinvertebrati

fig. 19. Diagramma delle classi di qualità con metodo biologico dei macroinvertebrati

Di queste semplificazioni ambientali se ne sono accorti sin dagli anni ’80 del secolo scorso, paesi le cui società urbane avevano intense relazioni con i fiumi come gli svedesi, i tedeschi, gli inglesi, ecc., sulla spinta naturalmente degli interessi plurimi degli utilizzatori delle acque. Nelle figure successive si possono osservare le prime indicazioni per operazioni di restauro fluviale su corsi d’acqua precedentemente manomessi e rettificati.

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fig. 20.1. Primi articoli sulla rinaturalizzazione dei fiumi (in Biologia ambientale 1991)

fig. 22. indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d'acqua.

fig. 20.2  – Indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e degli ambienti contermini.

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fig. 20.3 – Indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e degli ambienti contermini.

fig. 20.4 - Indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d'acqua e degli ambienti contermini.

fig. 20.4 – Indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e degli ambienti contermini.

fig. 20.5 - Indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d'acqua e degli ambienti contermini.

fig. 20.5 – Indicazioni per la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e degli ambienti contermini.

fig. 20.6 - La rinaturalizzazione del corso d'acqua è più efficace anche con la rimodellazione delle sponde arginali.

fig. 20.6 – La rinaturalizzazione del corso d’acqua è più efficace anche con la rimodellazione delle sponde arginali.

Il vero requisito di qualità di un corso d’acqua non è quindi la qualità delle acque in sé stessa, ma la qualità dell’ambiente complessivo, alla quale contribuiscono in maniera determinante anche le diversità dell’ambiente acquatico e di quello terrestre circostante.

I valori di biodiversità  sopra ricordati valgono anche per i vertebrati acquatici e, in particolare, per i pesci, la c.d.” ittiofauna”. Lungo un breve tratto fluviale naturale, di poche decine o centinaia di metri, sono generalmente riconoscibili alcuni elementi morfologici che rivestono un’ importanza di primo piano per i pesci. I principali di questi elementi sono la sinuosità dell’alveo (con profilo trasversale asimmetrico in corrispondenza delle curve e simmetrico nei tratti sub rettilinei), la successione di buche oblunghe alternate ai raschi (piccole rapide) e i ricoveri sotto sponda o in pieno alveo.

Anche la presenza di specie di pesci non originarie dei luoghi è un indicatore di scadimento della qualità fluviale: infatti alcuni pesci recentemente introdotti e/o diffusi nei corsi d’acqua del nostro territorio competono con le specie indigene e spesso le soppiantano per la loro maggiore adattabilità ad ambienti semplificati (fig. 27).

fig. 21 - Alcuni pesci alloctoni (provenienti da altri ecosistemi o continenti) che si sono adattati in molti contesti fluviali del Veneto.

fig. 21 – Alcuni pesci alloctoni (provenienti da altri ecosistemi o continenti) che si sono adattati in molti contesti fluviali del Veneto.

L’IMPORTANZA DELLA VEGETAZIONE RIPARIA

Quindi il fiume è  come un ecosistema aperto, che intesse continui scambi di materia ed energia con l’adiacente ambiente terrestre. In condizioni naturali, procedendo dalle rive verso 1’entroterra, si assiste ad una successione di associazioni vegetali, sulla cui struttura e dinamica esercitano un ruolo determinante il regime idrologico e le quote relative del terreno e della superficie freatica. La vegetazione riparia condiziona favorevolmente le comunità animali fluviali: fornisce loro alimento (foglie e frammenti vegetali, spoglie ed escrementi degli animali che essa sostiene), attenua l’escursione termica, riduce la velocità della corrente durante le piene, arricchisce la varietà di microambienti acquatici (radici sommerse, schermatura dei raggi solari e modifica della composizione della flora bentonica algale), diversifica il tipo della predazione, chiarifica per filtrazione meccanica l’acqua di dilavamento del terreno, ne assorbe i nutrienti prima che questi possano raggiungere il corso d’acqua (protezione dall’eutrofizzazione), aumenta la stabilità delle rive, fornisce ambienti rifugio sotto sponda per i pesci (ma anche altri animali come la lontra se fosse sopravvissuta allo sconvolgimento ecologico del territorio e dei fiumi della nostra regione).

A sua volta, la vegetazione riparia (fig. 22) trae vantaggio dalla disponibilità idrica, mentre il popolamento animale terrestre (in particolare anfibi, rettili e uccelli) è arricchito dalla disponibilità di prede acquatiche e dalla notevole biomassa esportata dal fiume all’ambiente terrestre con lo sfarfallamento degli stadi immaginali degli insetti anfibiotici[1].

[NB: i pescasportivi più preparati conoscono l’impiego di particolari esche finte (c.d. mosche) che costruiscono imitando proprio le forme e l’aspetto delle larve e delle farfalle di questi insetti che si maturano all’ombra della vegetazione perialveale]

Le reti trofiche (alimentari) si interconnettono a più livelli migliorando ricchezza, diversità, complessità e stabilità di entrambi gli ambienti, acquatico e terrestre.

fig. 28. Vegetazione acquatica riparia

fig. 22 – Vegetazione acquatica riparia (disegno di Michele Zanetti)

La vegetazione riparia rientra, quindi, a pieno titolo tra i fattori che contribuiscono alla diversità e alla qualità ambientale dei corsi d’ acqua.

ECOSISTEMA FLUVIALE: BIOCENOSI E BIOTOPI, RETI ECOLOGICHE E STRUMENTI DI GESTIONE

  1. Componente vegetazionale e faunistica: descrizione di biotopi e biocenosi.

Durante un’escursione possiamo dunque osservare varie situazioni in base alla distanza dall’asta fluviale ed alle peculiarità della zona visitata (macrofite acquatiche, formazioni erbacee pioniere di greto, canneti, formazioni arbustive e arborescenti ecc.)(fig. 23).

Ogni specie vegetale che vive in determinati habitat è contraddistinta da precise caratteristiche botaniche che identificano l’appartenenza a determinate famiglie, generi e specie; e per tali motivi possiamo utilizzare degli strumenti di riconoscimento che ci aiutano a classificarle, come ad esempio le foglie, le gemme, il tronco, il portamento, i frutti ecc.

  1. La vegetazione ripariale e le principali funzioni

Un esempio di specie tipica che possiamo riscontrare durante una passeggiata sugli argini del fiume è l’ontano nero (fig. 24). E’ una specie che ha delle peculiarità ben note. E’ innanzitutto una pianta igrofila, che predilige cioè la presenza di costante umidità, colonizza spontaneamente sia terreni argillosi sia sciolti, anche frequentemente inondati o paludosi. Le caratteristiche del suo apparato radicale permettono alla pianta di rimanere sommersa per lunghi periodi (presenza di batteri azotofissatori in specifici tubercoli).

fig. 29. Sezione tipo di un fiume con esemplificate le comunità vegetali possibili

fig. 23 – Sezione tipo di un fiume con esemplificate le comunità vegetali possibili

Sicuramente la funzione principale di questa tipologia di piante è quella di consolidare le rive e le scarpate. Il loro apparato radicale infatti trattiene il terreno e previene così il franare della sponda; resistendo anche alla forza delle correnti e del materiale trasportato.

Quando numerose specie erbacee, arbustive ed arboree ben definite permangono in uno spazio e sono in equilibrio con l’ambiente circostante possiamo parlare di associazione vegetale.

Alcune associazioni vegetali di specie ripariali, che raggiungono una certa complessità, possono evolvere nelle formazioni di boschi e foreste alluvionali ad esempio di Alnus glutinosa (fig. 24) e Fraxinus excelsior. Sono formazioni vegetali azonali molto frammentate e tipiche di quei suoli idromorfi ricchi di humus in cui la falda freatica esercita una costante influenza, e dove il disturbo antropico  ridotto al minimo. In base all’andamento ciclico della falda possono regredire verso formazioni vegetali prevalentemente erbacee oppure verso cenosi forestali mesofile più stabili, essendo in rapporto catenale con formazioni ripariali di salice e pioppo.

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Nell’ambito del River continuum concept, il corso d’acqua infatti è come una successione di ecosistemi concatenati, interconnessi con gli ecosistemi più esterni in rapporti catenali. Ogni tratto è influenzato da quello a monte che a sua volta influenzerà quello a valle, in stretta relazione anche con l’ampiezza dell’alveo e dei territori limitrofi.

fig. 31. Popolamenti di cannuccia di palude (Phragmitres australis) si rinvengono lungo tutto il corso del Marzenego.

fig. 25 – Popolamenti di cannuccia di palude (Phragmitres australis) si rinvengono lungo tutto il corso del Marzenego.

L’ontano nero è un albero che può raggiungere altezze elevate anche di 25 m, però spesso lo incontriamo con portamento arbustivo soprattutto nelle zone limitrofe ai corsi d’acqua. Le foglie sono caduche, con inserzione alterna e dotate di un picciolo di alcuni centimetri. E’ una pianta con infiorescenze unisessuali, troviamo amenti maschili lunghi e penduli, quelli femminili sono invece più corti e cilindrici e a maturità diventano di consistenza legnosa. I frutti contenuti in queste strutture legnose sono acheni alati, con diffusione anemofila.

Molte delle specie citate sono spesso utilizzate dall’uomo anche per la costituzione di fasce tampone ripariali (fig. 26), con diverse funzioni, oltre a quelle già menzionate.

fig. 32. Fasce tampone ripariali in uno schema esemplificativo del Consorzio di bonifica

fig. 26 – Fasce tampone ripariali in uno schema esemplificativo del Consorzio di bonifica “Acque risorgive” di Venezia.

Le colture agricole presenti nel territorio, i reflui civili, le attività industriali apportano infatti quantità di inquinanti sui suoli e nelle falde, e le piante della fascia ripariale sono l’ultimo baluardo difensivo che la natura (o l’uomo) può utilizzare per proteggere l’interezza della rete idrografica (i corsi d’acqua ma anche la laguna, il mare). La vegetazione riesce a controllare l’eutrofizzazione filtrando una buona parte di queste sostanze chimiche (in alcuni casi possiamo avere un abbattimento sopra l’80%) presenti nel deflusso sotto-superficiale, sempre che questa fascia sia interposta tra l’area coltivata e il corso d’acqua; è quindi d’obbligo, in caso di impianti artificiali, valutare correttamente il flusso idrico della zona.

Una fascia tampone costituita da alberi, arbusti ed erbacee, e quindi con un’adeguata distribuzione epigea ed ipogea ed uno spessore non inferiore a 10 m, è in grado di assolvere alle funzioni ecologiche principali.

La gestione selvicolturale per questa tipologia vegetazionale dipende dalle specie presenti, dalle aree di espansione costituite dai terreni golenali, e dal ruolo che devono rivestire; si può lasciare invariata la situazione o effettuare un trattamento di fustaia disetanea con specifici diametri di recidibilità e densità controllata [2].

Effetti benefici di una fascia tampone ripariale: nitrati e fosfati sono intercettati ed in parte assorbiti ed immobilizzati nella massa legnosa ed in parte trasformati in azoto gassoso attraverso il processo di denitrificazione condotto dai batteri presenti nel terreno.

Una illustrazione di maggior dettaglio sulle fasce tampone ideate e realizzate per migliorare la qualità chimica delle acque del Marzenego si può trovare nella comoda e sintetica pubblicazione del Consorzio di bonifica “Acque risorgive” : GUIDA ALLA SCOPERTA DI OASI E AREE DI INTERESSE NATURALISTICO scaricabile qui [http://www.acquerisorgive.it/wp-content/uploads/2016/05/GUIDA-OASI.pdf]

Le zone umide sono importanti ecosistemi per molteplici fattori:

a) possono costituire dei bacini di raccolta per i sedimenti, sostanze  nutritive e inquinanti;

b) sono grandi serbatoi di acqua che viene rilasciata gradualmente durante le stagioni siccitose e quando c’é molta richiesta anche per usi irrigui. Nel territorio del bacino del Marzenego se ne possono individuare alcune  che hanno primarie e/o secondarie relazioni con il fiume: le cave dismesse di Noale, quelle di Villetta di Salzano e la golena del Draganziolo a Trebaseleghe.

c) la presenza di torbiere  (particolari zone umide) contrasta l’aumento di anidride carbonica in atmosfera per la capacità di immagazzinare grandi quantità di carbonio;

d) sono inoltre l’habitat di molte specie animali e vegetali, che hanno sviluppato particolari adattamenti per sopravvivere in queste zone;

e) esplicano una funzione di corridoi ecologici o greenway per la conservazione e lo spostamento della fauna locale e adeguato rifugio, quindi mantenimento e potenziamento della biodiversità.

f) utilizzo turistico-ricreativo, ovviamente regolamentato, e diversificazione paesaggistica.

L’ambiente ripariale comprende gli ecotoni, zone di transizione tra il corso d’acqua vero e proprio e i territori circostanti (fig. 23), che possono essere interessati da sommersione, occasionale o permanente in alcuni casi. Le zone umide assumono quindi peculiarità ben definite ed ecologicamente ben distinte, identificabili con la vegetazione presente; di seguito si illustrano le principali caratteristiche di alcune formazioni vegetali tipiche, seguendo un gradiente da zone più aride a quelle con presenza costante di acqua.

  1. I prati stabili

Il prato stabile è costituito da numerose specie erbacee che si propagano naturalmente ed è molto importante sia dal punto di vista ecologico, sia economico (può essere infatti l’ambiente basilare per produzione lattiero-casearia di qualità); è un tipo di coltura agraria che può avere sviluppo su terreni con una buona disponibilità di acqua ed un periodo minimo di permanenza di una decina di anni.

  1. I prati torbosi

Nelle zone paludose si possono trovare alcuni frammenti di prati torbosi, residui di precedenti torbiere tipiche di questa tipologia di ambienti; le principali specie botaniche che incontriamo sono rappresentate dal giunco nero (Shoenus nigricans) dominante sulle specie di Carex sp. (la c.d. caressa per impagliare le sedie) e di erioforo (Eriophorum latifolium).

  1. I prati umidi o molinieti

fig. 27 – Molinia coerulea, graminacea tipica dei prati umidi

Ulteriori formazioni vegetali tipiche sono i prati umidi, cenosi igrofile generalmente caratterizzate da un livello di falda oscillante che deve però conservarsi abbastanza elevato anche durante il periodo estivo; spesso sono originate dal progressivo prosciugarsi delle zone paludose; in essi troviamo un ricco corteggio floristico dominato soprattutto dall’erbacea perenne molinia (Molinia caerulea), che caratterizza con i suoi cespi la fisionomia della vegetazione, e dal giunco nero (Shoenus nigricans), equiseto (Equisetum palustre), valeriana (Valeriana dioica), senecione (Senecio doria) e potentilla (Potentilla erecta). I molinieti  sono stati classificati dalla UE come habitat protetto [6410 Praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-limosi].

  1. I cariceti

fig. 28. Carex elata

I cariceti sono formazioni ben rappresentate in diverse situazioni ambientali. Le specie del genere Carex (fig. 28) sono infatti numerose e possono colonizzare zone prevalentemente con acqua corrente (C. elata e C. acutiformis) associate a specie come il Galium palustre e l’Iris pseudacorus (fig. 29) o il Cirsium palustre; oppure zone più asciutte dove troviamo la predominanza di Cyperus longus in associazione con la C. elata e la C. davalliana. Non è insolito riscontrare la presenza di Valeriana dioica e di Mentha aquatica. Nel caso di zone antropizzate si ha la colonizzazione della cannuccia di palude (Phragmites australis) associata a Symphytum officinale, Cirsium oleraceum ed Eupatorium cannabinum.

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  1. I marisceti

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Sono formazioni vegetali vulnerabili, che hanno una forte dominanza di una robusta e tagliente ciperacea, il falasco (Cladium mariscus) (fig. 30) che colonizza zone con acqua stagnante, in prossimità di fiumi con stabilità di falda e in prossimità di polle. Il marisceto era diffuso in pianura e ora con la riduzione delle aree palustri, l’apporto di sostanze nutrienti e quindi la pressione antropica, la situazione è sempre più critica. E’ un particolare habitat vulnerabile ed è quindi protetto [7210* Paludi calcaree con Cladium mariscus e specie del Caricion davallianae, presente ad esempio nella Palude di Onara -PD- o in un ansa dell’Adige (le marice) a Cavarzere-VE-].

  1. La vegetazione acquatica

Le idrofite sono le piante che possono vivere in condizioni di totale immersione con apparati radicali ancorati al fondo (fig. 23), e completamente sommerse oppure flottanti; sono tipiche la lenticchia d’acqua (Lemna sp.) (fig. 32), specie indicatrice di carico organico e che spesso ricopre l’intera superficie libera dell’acqua, Potamogeton sp. (radicante natante), Ceratophyllum sp. (piante radicanti sommerse), Nuphar sp. (radicante al fondo ma flottante in superficie)(fig. 31),  Ranunculus sp.

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fig. 31- Particolare di un fossato dominato dalla lenticchia d'acqua (Lemna minor)

fig. 32 – Particolare di un fossato con la lenticchia d’acqua (Lemna minor)

  1. La componente faunistica delle zone umide

Il territorio di riferimento del fiume può ospitare comunità faunistiche estremamente differenziate a seconda degli habitat. La fauna è la parte “mobile” dell’ecosistema e si sposta proprio lungo i corridoi ecologici presenti nel territorio. Durante una passeggiata lungo il fiume è  possibile osservare, tra l’avifauna nidificante nelle zone umide adiacenti al corso d’acqua o migrante, gli aironi  come quello cenerino (Ardea cinerea), la garzetta (Egretta garzetta), il tarbuso (Botaurus stellaris),  il tirabusino (Ixobrychus minutus), la gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), il martin pescatore (Alcedo atthis).

fig. 33 - Alcuni micromammiferi rinvenibili presso le zone umide.

fig. 33 – Alcuni micromammiferi rinvenibili presso le zone umide.

Tra i mammiferi è comune l’arvicola terrestre (Arvicola terrestris), interessante roditore che scava una rete di gallerie sia sopra sia sotto il livello dell’acqua facile da osservarne le tane, molto simili a quelle della talpa (fig. 33). E’ presente anche il moscardino (Muscardinus avellanarius) sicuramente molto più raro.

Il tritone crestato italiano (Triturus carnifex) è un anfibio comune che presenta parti ventrali del tronco di colorazione giallastra, più rara ma presente è la rana di Lataste (Rana latastei); tra i rettili troviamo le bisce d’acqua (Natrix sp. pl.) e il biacco non velenoso (Hierophis viridiflavus carbonarius) noto con il nome di “carbonasso”.

Nei fiumi di risorgiva, come il nostro Marzenego nelle acque più pulite tra i pesci dovrebbero essere comuni il Barbo (Barbus plebejus), la trota marmorata (Salmo marmoratus) e il temolo (Thymallus thymallus).

fig. 34 - Vanessa atalanta

fig. 34 – Vanessa atalanta

E’ facile avvistare la coloratissima farfalla, Vanessa atalanta (fig. 34); gli esemplari si nutrono di infiorescenze di piante come la Buddleja (che è una pianta “alloctona” -proveniente dall’Asia orientale ma ampiamente diffusa e naturalizzata lungo i corsi d’acqua anche da noi e chiamata pianta delle farfalle) e la frutta in avanzata fase di maturazione, il bruco invece si nutre di foglie di ortica. Questa specie vive abitualmente in zone temperate, ma effettua delle migrazioni verso nord in primavera e occasionalmente in autunno. E’ una delle ultime specie di farfalle visibili in nord Europa prima dell’arrivo dell’inverno, spesso mentre si posa sui fiori nelle giornate di sole.

La Vanessa atalanta è anche nota per essere capace di cadere in stato di ibernazione; la farfalla, specialmente nelle zone dell’Europa meridionale,  in grado di alzarsi in volo anche durante una bella giornata invernale.

Non è quindi raro vederne qualcuna nelle ore più miti di giornate invernali, crogiolarsi al pallido sole o posarsi preferibilmente su rocce o pietre.

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La gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) (fig. 35) presenta un becco prominente di colore giallo ed una parte rossa, così come lo scudo che si estende al di sopra di esso. La coda è corta ed appuntita, le zampe sono gialle. Il piumaggio degli adulti è prevalentemente nero con delle pennellate di bianco sui contorni delle ali e sul sottocoda.

Nidifica due volte all’anno in prossimità dell’acqua tra le canne o i cespugli della vegetazione ripariale. Durante una passeggiata sugli argini del fiume l’avvistamento è molto probabile, soprattutto in zone riparate e acque calme.

  1. Reti ecologiche: Natura 2000 e ambiti territoriali (SIC – ZPS – ZSC )

Come si è visto sopra l’uso del suolo e le attività antropiche possono alterare lo stato trofico provocando fenomeni di “eutrofizzazione” delle acque, e modificare  i cicli degli elementi, in modo più o meno intenso tanto da sconvolgere lo stato chimico-fisico generale dell’ambiente (eliminazione delle siepi, interramento dei fossati,  abuso di concimi chimici di sintesi nei territori agricoli, impiego di erbicidi non selettivi, escavazioni ecc.). Tutto ciò può portare alla totale scomparsa della vegetazione perifluviale o addirittura dell’intera biocenosi acquatica.

Le direttive comunitarie vincolano i singoli Stati membri al raggiungimento di determinati risultati ritenuti di fondamentale importanza per il bene della Comunità europea.

La direttiva comunitaria 2000/60/CE (Water framework directive) impone ad esempio una riforma legislativa fondamentale in materia di tutela della rete idrografica, sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista amministrativo-gestionale e stabilisce importanti meccanismi di coordinamento con altri strumenti comunitari rilevanti per la tutela degli ambienti idrici, quali le direttive “Habitat” e “Uccelli”.

Nella Direttiva sono illustrate le componenti caratteristiche per valutare lo stato di salute di un corso d’acqua e quindi del disturbo antropico ad esso associato .

Esistono diversi metodi e a tale scopo si menziona l’indice di funzionalità fluviale (I.F.F.), inizialmente Riparian Channel Environmental Inventory, Petersen, che si propone di valutare la funzionalità ecologica dei corsi d’acqua corrente nella loro globalità, intesa come capacità autodepurativa mediante analisi dell’integrità e/o delle alterazioni degli habitat nonché delle biocenosi ad essi associate.

Attraverso l’impiego di schede analitiche, composte da 14 domande e 4 risposte (classi numeriche), che prendono in considerazione le condizioni ecologiche del fiume, quindi la tipologia di vegetazione perifluviale primaria e secondaria, l’ampiezza, la continuità, le condizioni idriche dell’alveo ecc., si può esaminare ogni tratto di fiume; il punteggio finale viene tradotto in 5 livelli/giudizi di funzionalità associati a dei colori convenzionali.

La Comunità europea dunque mantiene il suo impegno nel bloccare il declino della biodiversità. Ulteriore esempio è dato da Natura 2000: una rete ecologica di aree naturali e seminaturali allo scopo di favorire la salvaguardia e la sopravvivenza delle specie e degli habitat europei di maggior valore naturalistico. La sua realizzazione richiede un’individuazione degli habitat che rischiano di scomparire, e l’adozione di strumenti per il governo del territorio in grado di proteggere tale prezioso patrimonio. Nell’elenco dei siti comunitari designati sono prese in considerazione anche le aree seminaturali perché comunque si è sviluppato un equilibrio tra l’attività dell’uomo e l’ambiente che lo circonda.

Tutte le informazioni sulla rete Natura 2000 individuata e descritta  nel Veneto si possono vedere e scaricare su questa  pagina.

Alla Rete Natura 2000 appartengono le zone umide delle cave senili di Noale (SIC n. IT3250017), di Villetta di Salzano (SIC n. IT3250008 ) oggi oasi Lycaena, e di Martellago (SIC n. IT3250021)

IL METODO BIOLOGICO DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ’ DELLE ACQUE CORRENTI

Quanto detto finora ha evidenziato che la comunità vivente, responsabile del potere depurante, è la componente più peculiare dei corsi d’acqua, che rende questi ultimi “tutt’altra cosa” rispetto ai corpi idrici artificiali o fortemente manomessi. Ne deriva, allora, che la migliore valutazione del grado di deterioramento della qualità degli ambienti di acque correnti può essere ottenuta non tanto con le tradizionali analisi chimiche, quanto: studiando il grado di compromissione delle comunità che il fiume ospita.

I metodi biologici di valutazione della qualità degli ambienti fluviali riconducono il concetto di inquinamento alla sua essenza, comprendendo in esso ogni processo che comprometta le comunità viventi (indipendentemente dalla presenza di scarichi e dalla natura di eventuali sostanze tossiche). Adottando questa concezione allargata del concetto di inquinamento, appare chiaro che anche le alterazioni fisiche dell’ambiente, quali quelle determinate dalle escavazioni, difese spondali, canalizzazioni, ecc., qualora compromettano le comunità viventi, possono essere definite fenomeni inquinanti, pur non rilasciando alcuno scarico.

Va sottolineato che questo metodo di valutazione della qualità degli ambienti di acque correnti rappresenta una notevole acquisizione culturale, prima ancora che tecnica poiché, a differenza del metodo chimico, indaga direttamente sulle comunità viventi nei fiumi e sui processi che in essi si svolgono. Ponendosi “dalla parte degli organismi acquatici” e lasciando in disparte il criterio antropocentrico e utilitaristico, che può ritenere le acque accettabili per un determinato uso umano (es. irriguo, industriale), un fiume viene giudicato non inquinato se permette ai suoi legittimi abitatori buone condizioni vitali.

fig. XXX Carta della classificazione biologica dei corsi d'acqua del Veneto

fig. 36
Carta della classificazione della naturalità dei corsi d’acqua del Veneto

Questo è l’assunto metodologico e scientifico per cui la valutazione della qualità delle acque fluviali va fatta con queste modalità e gli atti di programmazione degli enti territoriali l’hanno fatto proprio. Non si può più prescindere da questa conquista concettuale in fatto di ambiente che ovviamente tutela maggiormente il cittadino consumatore di acqua potabile che nelle aree metropolitane viene derivata soprattutto dai fiumi (e dai territori) di risorgiva (ad es. Sile, Marzenego, Dese, Zero, Storga, ecc.) perché lo mette al riparo da riscontri puntuali nel tempo tipici degli esami chimico-fisici, che possono essere negativi o positivi a seconda del momento del prelievo.

La valutazione biologica della qualità dell’acqua invece evidenza anche quegli aspetti di modificazioni lievi ma durature nel tempo che incidono sulla composizione delle classi biotiche degli organismi viventi nel fiume.

L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE OPERE FLUVIALI

La diversità ambientale in tutte le sue componenti: tracciato longitudinale, profilo trasversale, profondità, velocità della corrente, granulometria e rugosità del substrato, successione buche – raschi, vegetazione alveale e riparia, ecc., è fondamento funzionale dell’ecosistema fluviale.

A questo punto credo che ciascuno, utilizzando come chiave interpretativa il principio

“diversità ambientale—> diversità biologica—> qualità ambientale complessiva“,

possa facilmente comprendere che ogni opera che rende più uniforme l’ambiente fluviale (l’ambiente acquatico e/o l’ambiente terrestre circostante) lo impoverisca da tutti i punti di vista.

E’ facilmente prevedibile, ad esempio, che nei tratti del fiume Piave abnormemente allargati – a seguito di escavazioni di inerti dalle sponde o di opere di risagomatura, lo spianamento dell’alveo, la rimozione della vegetazione, le ridotte ed uniformi profondità e velocità della corrente, l’illuminazione eccessiva ed uniforme, ecc., determinino una drastica riduzione della varietà dei microambienti e, quindi, dei popolamenti acquatici (macroinvertebrati e pesci).

Le alterazioni morfologiche dell’alveo esercitano quindi un impatto biologico ben piùpesante di quello degli scarichi fognari, anche non depurati, di interi centri abitati. Si noti che tale impatto è quello registrato a distanza di diversi anni dall’esecuzione dei lavori fluviali: appare quindi più che legittimo definire le alterazioni morfologiche dell’alveo “operazioni permanentemente inquinanti“.

L’impatto biologico è sostanzialmente legato all’uniformità ambientale, indipendentemente dalle modalità operative con le quali questa viene realizzata (allargamento o restringimento dell’alveo). Particolarmente deleteri sono lo spianamento dell’alveo e la sua devegetazione.

Occorre tener presente, inoltre, che l’impatto cresce in misura più che proporzionale all’estensione longitudinale dell’intervento: un lungo tratto morfologicamente uniforme, infatti, si comporta come una “barriera biologica”, che ostacola agli organismi acquatici provenienti da monte la progressiva ricolonizzazione a valle.

La storia gestionale del fiume Marzenego è molto lunga e densa di interventi che l’hanno modificato intensamente ed in molti tratti.  L’esempio più considerevole, e storicamente prossimo noi, è quello della rettifica  del tratto finale del fiume realizzato nel 1783 su progetto dell’ingegnere Scalfuroto approvato dalla morente Repubblica Serenissima (fig. 37). Ancora oggi si possono rilevare tratti del paleoalveo in località Bissuola a Mestre.

fig. 37 - Cartografia storica della rettifica del Marzenego realizzata dallo Scalfuroto (AS - SEA 1275)

fig. 37 – Cartografia storica della rettifica del Marzenego realizzata dallo Scalfuroto (AS – SEA 1275)

MITIGAZIONE DELL’ IMPATTO AMBIENTALE

Appare evidente, da quanto detto finora, che il miglior approccio alla gestione di un bacino idrografico è quello suggerito dalla scuola del “progettare con la natura“. Quest’ultima è ispirata dal principio che le forze e le tendenze evolutive dei corsi d’acqua vanno studiate, comprese, assecondate e utilizzate (anziché contrastate) per progettare gli insediamenti umani in armonia con esse: ciò fornisce la migliore garanzia di sicurezza idraulica e di salvaguardia della naturalità degli ambienti fluviali, oltre a consentire notevoli risparmi economici.

Si conviene che un piano di bacino debba fornire, non già un elenco di opere idrauliche da costruire, ma degli scenari di gestione del territorio che, giocando sulla destinazione e sul corretto uso dei suoli (forestazione, agricoltura, abitati, ecc.), permetta di trovare la giusta integrazione tra sicurezza idraulica, tutela ambientale ed uso delle risorse idriche e dell’intero territorio.

L’esempio di altri paesi (Germania, Olanda, Stati Uniti, Svezia) che hanno fatto dietrofront rispetto distruttive decisioni del secolo scorso per  imboccare una strada coraggiosa e illuminante: le opere di canalizzazione vengono demolite e si procede alla  loro rinaturalizzazione, ricostruendo le caratteristiche morfologiche tipiche dei corsi d’acqua naturali (cfr. fiume Sangro).

In ogni caso, nella realizzazione delle opere, dovranno essere evitate modalità progettuali ed operative che interessino direttamente l’alveo e le sue immediate adiacenze e che ne alterino  durevolmente la morfologia. Dovrà essere rivolta la massima attenzione ad evitare l’uniformità dell’ambiente, specialmente su lunghi tratti; minori attenzioni richiedono, invece, le opere puntuali (soglie, piccole brighe, brevi tratti di difese spondali poste a protezione di un manufatto) che, generalmente, esercitano un impatto permanente limitato; l’impatto delle arginature sull’ambiente fluviale può essere notevolmente contenuto costruendole a ragguardevole distanza dall’alveo.

Seguendo questa nuova filosofia, che tiene in maggiore considerazione la natura ecosistemica dei corsi d’acqua, la costruzione di opere idrauliche verrebbe drasticamente ridotta a quelle veramente indispensabili e, sostanzialmente, limitata a brevi tratti di attraversamento di centri abitati e ad opere puntuali a difesa di manufatti.

E’ da augurarsi che l’ingegnere idraulico sappia raccogliere questa sfida culturale e professionale e, da puro costruttore di opere “contro natura”, diventi un progettista del territorio, che lavora in sintonia con essa.

Altre informazioni sul Marzenego-Osellino su http://www.ilfiumemarzenego.it/

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[1] anfibiotico:  denominazione di Insetti che presentano larve acquatiche, respiranti per mezzo di pseudobranchie o attraverso il tegumento, e adulti terrestri, liberi, volatori, a respirazione aerea. Tali forme sono comprese negli ordini dei Plecotteri, Efemerotteri, Odonati e Tricotteri.

[2] Per un esame dettagliato di queste pratiche colturali si veda il lavoro di Albert Reif e  Thomas Schmutz :  “Impianto e manutenzione delle siepi campestri in Europa” (INSTITUT POUR LE DÉVELOPPEMENT FORESTIER) scaricabile sul sito della Unione Europea.

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* biologo, Vicepresidente dell’associazione La Salsola. Traccia della conversazione per  un incontro per il Contratto di Fiume Marzenego a Robegano (VE) organizzato dall’associazione Terra viva il 16 novembre 2016.

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