Venezia e il regime della laguna (difese urbane ed edilizie)

STORIA E AMBIENTE

Venezia e il regime della laguna (difese urbane ed edilizie)

di

Giuseppe Marzemin

Si ripropone qui uno scritto famoso dell’autore  che sintetizza la travagliata vicenda secolare dell’idraulica lagunare .

Ricacciati dalla terraferma da Carlo Magno, cacciati dagli assalti del mare dalla loro meravigliosa Matamauco, costretti a vivere in luoghi paludosi tra le quotidiane maree e inondazioni di fiumi, consci di una vittoriosa invadenza del mare sui litorali e su terre dell’Estuario, i Veneziani compresero che 1’ esistenza del nuovo centro di Rivoalto era subordinata al dominio su questi ostili elementi. E poiché era terra, della quale avevano estrema necessità, che sfuggiva sotto le acque, si fecero a salvare più terra che poterono e a combattere l’invadenza delle acque marine. A questi molteplici sforzi fusero in una magistratura triumvirale le loro più profonde competenze, preponendone una alle difese litoranee contro il mare, un’altra a guadagnare nell’ Estuario spazi praticabili prosciugandoli e innalzandoli con apporti di terreno, la terza alla edilizia cittadina.

La loro vittoria fu contro le acque marine per la difesa e per l’accrescimento in estensione di un territorio urbano, suburbano e agricolo, il quale nel complesso si trovava allora in una proporzione con le sommersioni permanenti presso che inversa a quella attuale [1].

Un altro Triumvirato, nel 1282, quello che compilò il Codice del Piovego o della Laguna, disciplinò gli aspetti giuridici della proprietà delle acque per il fatto che nel decorso dei secoli precedenti spazi emersi coltivati, barene e peschiere già di privata proprietà, si trovavano perennemente sommersi. All’alba del sec. XVI oltre l’antica magistratura dei Sapientes o Savi alle Acque, si volle che fosse impegnata anche quella di un intero Collegio di senatori e nel proemio della relativa deliberazione del 1505 si proclamò: « Haec materia aquarum est tanti ponderis atque momenti ut unico verbo dici possit importare secum consistentiam totius Status Nostri »[2].

Non tutte le leggi della natura sono coercibili, ma in argomento lagunare si affermò il principio che « la Laguna non può naturalmente nè accidentalmente perdersi (o salvarsi) senza il concorso di un’apposita volontà di chi vi è padrone » [3]

Il grado di consapevolezza di questa volontà è in relazione a complete cognizioni storiche e scientifiche. E queste facevano difetto negli idraulici cinquecentisti, mentre i Veneziani assistevano al culmine dei disordini. La Laguna, essi dicevano, è ridotta ad una piscina: dovunque formazioni acquitrinose di acque dolci e di acque miste, qualche non lontana zona malarica, progressivi interrimenti, e nel tempo stesso sommersioni di vaste terre un tempo coltivate e abitate, canali di navigazione interrati, rive cadenti, fiumi disarginati, alluvioni vaganti, porti ostruiti, alzamento del livello marino.

Tutti erano concordi nell’invocare provvedimenti radicali per salvare la città e la Laguna, ma nessuno mirava ad un tipo di Laguna che ritenesse necessario raggiungere o far ripristinare. Soltanto si ricordava che circa mezzo millennio addietro, i fiumi scorrevano normali al mare, tra essi, nell’Estuario stesso, si trovavano fertili terre, giardini e borghi, e che gli spazi lagunari erano limitati e innocui. Le più antiche conoscenze storiche non partivano che dalla equivoca lettera di Cassiodoro, ma non si avevano notizie esatte sulla consistenza dell’ Estuario all’età romana. Anche avendole non sarebbero state decisive trattandosi di combattere sopravvenuti effetti disastrosi delle acque dei fiumi, e di quelle del mare, il quale aveva alzato il suo livello medio quasi un metro sugli antichi piani camminabili.

I PROGETTI DI DIFESA

Un nobile di Ca’ Morosini nel corso del secolo decimoquinto lasciò scritto che si dovesse contenere la laguna con un argine di pietra lungo tutte le rive dei canneti e della terraferma quale si trovava allora (cioè molto vicina alla città) e ciò per beneficio della Laguna. Ma il progetto, osserva il Sabbadino, non fu eseguito perché non si trovò fondo stabile per fabbricarvi le fondamenta di pietra[4]. Critica questa inconsistente.

Un Marcantonio Cornaro intendeva anche lui arginare la Laguna.[5] E così un Piemontese voleva cingerla con una «Zirlanda ».

Uno Sfondrati cremonese propose che si racchiudesse di un argine la Laguna dalla fossa Nuova (dell’Osellin) sino al Lido di 5. Erasmo (cioè lungo l’antico corso del fiume Musone, poi Bottenigo) facendosi delle porte verso Torcello per la navigazione [6].

Altri voleva che la città fosse dotata di un sistema di fognatura ( per sottrarre tale funzione all’alternativa delle maree talvolta bassissime e causa di fetori insopportabili.

Un Paulini bellunese voleva che fossero fatte diverse buse (forse vasi di espansione del tipo di quelli ora attuati dal Magistrato alle Acque) lungo il corso di torrenti, acciò servissero di ricettacolo alle torbide dei monti, per sottrarle alle lagune [7].

Anche Benedetto Castelli e G. Alfonso Borelli furono fautori del l’intromissione dei fiumi in Laguna per quanto sotto altri riflessi[8].

Le vaste sommersioni che si erano verificate in Laguna erano concordemente riconosciute [9] e del pari era da tutti constatato l’alzamento del livello medio marino sulla città, perché si vedevano, scriveva Alvise Cornaro, selciati e pavimenti, piani di chiese e di case, più bassi di piedi tre (m. 1,044) a quelli nuovi.

Sugli effetti delle acque salse sulle pietre e sulle terre così si esprimeva il Sabbadino: «La natura delle acque salse è consumare i terreni dove dominano in due modi: l’uno con la salsedine loro, la quale non solamente rode e consuma il terreno, ma i pali di rovere e le pietre così vive come cotte e i marmi e quanto si vede in tutti i luoghi della Laguna dove già erano Chiese con fabbriche di chiese, con case e fondamenta attorno. L’altro modo di danneggiare è il moto del maresino (o maretta cioè laguna agitata) e il percuotere di essa acqua con continuo impeto delle fortune (tempeste) ed acque grandi, le quali percuotendo nei terreni duri li rompe e muove da luogo a luogo e se bene dall’alta li conduce alla bassa (marea), non è però che resti la terra dove cade… (perchè poi è convogliata al mare). E si vede chiaro intorno dette isole derelitte e luoghi alti come a S. Maria della Cava oltre il Porto di Malamocco, a S. Marco Bocca Lama a S. Felice di Lama (località lagunari) e in molti altri luoghi che erano terreni alti e fondamenta durissime, rovinate dallo sbatter dell’acque, intorno alle quali si trovano alcuni minuzzoli di terra tanto sbavaradi (tosati risecati diminuiti) che son fatti tondi come calotte, Le pietre come frante e sbavarade e ridotte come giarina (ghiaia minuta). Le rive, i marmori tutti mangiati dal salso e, per lo percuoter dell’acqua, pieni di forami e marcite. Se non fortificassero ogni anno gli arzeri in breve tempo diventeriano laguna, come in molti luoghi si vede che dove erano vigneti e orti alti al presente sono barene bassissime… »[10]

Con tutto ciò questo idraulico sorvolando sulle pietre di Venezia, si fece banditore e rimase finora il caposcuola della conversione della Laguna in un mare distruttore di pietre e di terre [11].

Editto di Egnazio

VENETORVM URBS DIVINA DISPONENTE,
PROVIDENTIA IN AQUIS FUNDATA, AQUARUM
AMBITU CIRCUMSEPTA, AQUIS PRO MURO
MUNITUR: QUISQUIS IGITUR QUOQUOMODO
DETRIMMENTU PUBLICIS AQUIS INFERRE
AUSUS FUERI, ET HOSTIS PATRIAE
IUDICETUR: NEC MINORE PLECTATUR PAENA
QUA QUI SANCTOS MUROS PATRI∆ VIOLASSET.
HUIUS EDICTI IUS RATUM PERPETUUMO
ESTO

[Epigrafe dettata dall’umanista Egnazio, al secolo: Giambattista Cipelli – Venezia, circa 1473 – ivi + 1553, e murata nella sede del Magistrato alle Acque istituito dalia Repubblica di Venezia nel 1505. Attualmente e’ depositata al Civico Museo Correr di Venezia. » in marmo nero con lettere incise e dorate.]

[Traduzione: “La citta’ dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque e’ protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto osera’ arrecare nocumento in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo”. In: G. Marzemin – L’Editto di Egnazio sulla Laguna di Venezia – Ateneo Veneto – Vol. 123 – anno 1938

Alvise Cornaro distinse, gli effetti delle comuni alte maree[12], che ritenne utili alla Laguna e alla città, da quelli delle sopracomuni, che ritenne dannose.

Nell’intento di scongiurare tali effetti e di salvare la Laguna dagli interrimenti fluviali e marini, intendeva che fosse mantenuta soltanto quella di Venezia, lasciando all’interrimento quella superiore e quella di Chioggia per le acque di Brenta e Bottenigo (Musone). Propugnava per ciò di circondare tutt’intorno la Laguna «quella poca che c’è», dalla parte di Resta d’Aglio fino al Canale che va a Marghera, mediante un Canale ben profondo, arginato soltanto verso il continente, ma con aperture e porte in modo da far rete con altri canali di navigazione verso la terraferma. Questo canale arginato, come arginati dovevano essere tutti i fiumi e canali lagunari, doveva esser posto al servizio di una navigazione circumlagunare e pare anche di una viabilità terrestre[13]. Inoltre osservato che « da quando si è ristretto il Porto di Malamocco [ cioè nel 1536] i sopracomuni si sono abbassati di mezzo piede (m. 0.174) perchè entra a Venezia meno acqua » ritenne necessario «restringere lì Porti, ridurli a due e meglio ad uno solo» [14]. Infine le difese contro gli interrimenti non impedivano al Cornaro di propugnare « un vasto territorio e distretto a questa città che come sa cadauno non ha territorio suo particolare da potersi comodare dal vivere e darglielo nel suo proprio dominio.., per non essere costretta la città a spogliarsi di gran quantità di oro molto spesso mandandolo nei paesi alieni per formenti »[15].

I PROGETTI FRACASTORO E ZORZI

Richiesto dallo stesso Alvise Cornaro, lo scienziato veronese Girolamo Fracastoro gli manifestò il suo parere intorno al modo di conservare la Laguna di Venezia. Dopo espressi i suoi dubbi sulla efficacia del canale proposto dal patrizio, osserva: « Ho prima pensato, se è necessario e inevitabile che questa Laguna finalmente non rimanga senza le acque del mare e divenga palude. Poi dato che necessario sia, se possibile è, che questa tanta e così degna città si possa difendere Per quanto a me pare, si deve sperare che questa gloriosa città di Vinegia, che Dio elesse e fondò, si debba di tempo in tempo, di età in età, tal mente poter difendere, che non solamente rimarrà sempre abitabile, ma resterà grande, e ricca, e possente com’è; faccia il tempo, e il mare quanto può cosa, se Dio la difenderà dall’altre fortune che suoleno accadere alle città. Il modo veramente in che io avrei speranza grandissima, così in prolungar l’atterrazione, come in conservar questa città da tutte le cose che potessero farla inabitabile, è questo ch’io dirò, se forse non parerà cosa troppo difficile; ma certo se si facesse, non tutto in una volta, ma di età in età, e a parte a parte, io penso che nè molto difficil saria, nè di gran spesa. Io vorrei che per la Laguna si facessero molti argini, ovver colline oblonghe, e convenientemente larghe, alte sopra il livello, in che adesso la Laguna si trova, piedi otto, ovvero dieci, che scorressero per levante e ponente, o per quel modo che meglio paresse. Li quali argini si facessero della terra della Laguna cavata di quà e di là, e bucata nel mezzo, tal che la Laguna sana parte monti, parte valli tra monti. Questa cosa, s’io non m’inganno, faria molti benefici. Prima la parte dei monti, che in breve tempo s’essiccheria, renderia, cultivandosi, utilità e amenità assai, e appresso torna via gran parte di quella terra, che si potesse far paludosa e nociva per aere tristo; ma la parte cavata, ove sarian le valli, beneficio molto maggiore e più subitaneo renderia, per ciò che molto prolungheria la atterrazione per essere fatte di più fondo, e di più corso…. al qual pericolo (di eventuale impaludamento) penso che facilmente si rimediana sboccando li fiumi, li quali adesso sono derivati e drizzati fora della Laguna, facendoli entrar in quella per li soi canali che vanno dritti alli porti a loro oppositi, per li quali correndo al mare, e non avendo lo ostacolo che adesso averiano se entrassero in la Laguna, cavariano assai terra, e la porteriano al mare fora della Laguna. E qui una delle due cose si poteria fare, ovver allagar tutte le valli predette tra gli argini, e così ridur Vinegia un’altra volta in Laguna, ma Laguna di acqua dolce; ovvero non le allagar tutte, ma far canali per quelle, per li quali li rami delli fiumi si potessero condurre, e lasciarne parte da essere cultivata; e all’un modo, e all’altro si rimoveria la malizia dell’aere, e si faria la più bella, la più amena città che si potesse immaginare, tal che considerando quello che può essere, e farsi di tempo in tempo, io vedo questa città non solamente abitata eternamente, ma tale che sarà chiamata la felice e la eletta d’ Iddio.

…Venendo il caso che cominciasse la Laguna farsi paludosa, il sboccar li fiumi e farli entrar in quella per li soi canali, sana sufficente a difendere questa città da malattie dell’aere, e farla di continuo abitabile, ma molto meglio giudico il far li predetti argini, e cominciarsi dal canale che va a Lizzafusina, per la schiena delli cui argini si potria fra poco condur un acquedotto di acqua dolce in Vinegia, che ne ha tanto bisogno»[16].

Tutti i Cinquecentisti attribuivano la malaria alla commistione delle acque dolci con le salse. Alvise Cornaro non denunciò Venezia «che era la più forte del mondo » come città malarica, bensì infestata di «zanzare» (mossoni). Salubrità incredibile godettero i luoghi anche altinati fino a che rimasero continentali e la mantennero anche nel nuovo stato lagunare, in ogni caso fintantochè un dominio idraulico riuscì a combattere efficacemente stagni di acque dolci e acque ristagnanti nelle zone di gronda lagunare. Il limite di salsedine incompatibile con la vita anofelica, nelle lagune veneziane, fu scientificamente determinato del 15 per mille [17], grado di commistione così basso da allontanare preoccupazioni che non siano quelle di un’anarchia idraulica.

Anche il patrizio Zorzi Zorzi ben comprese i veri interessi idraulici ed- economici della città, propugnando: il cavamento di pozzi, l’introduzione dell’acqua potabile dalla terraferma. Al programma del contemporaneo Sabbadino non risparmiò le più acerbe e profetiche censure: « … è dannosissimo, scrisse, non era cosa da proporre, senza poi un profitto ai mondo di questa città… anzi con l’accelerarne il tempo alla ruina et desolatione nostra ». «Estromessi i fiumi aumenterà un pernicioso accesso delle acque di mare ». Tale programma importerà « spese di centinai di migliaia e forse di milioni di ducati; con rovina dei sudditi e con desolatione de’ suoi cittadini ». Il patrizio avversava non solo la estromissione dei fiumi dalla Laguna ma anche la sola di versione di essi « che è. contro natura e causa di complicazioni per effetto delle pendenze ». In armonia con le vedute di Alvise Cornaro riteneva miglior partito contenere più ristretta laguna con un argine di vivo, indirizzare tutti i fiumi ai loro porti al mare per la via più breve e « bonificare barene e ridurre a bosco e a prato a beneficio pubblico ed a maggior ornamento di questa laguna e di quasi tutta la citta… » [18].

Più tardi un Francesco Giusto, in un discorso al Principe, si proponeva di liberare la Laguna dalle atterrazioni, conservare alla città un’aria perfetta e tenere un porto profondissimo e comodo alla navigazione. «Bisognerebbe chiudere i tanti porti (allora erano 5), che cagionano tanta confusione di moti contrari e intrigati, facendo alli medesimi dighe all’uso di Fiandra, con le quali regolano le acque in quelle parti e ciò per poterle aprire e serrare al comodo della Repubblica e lasciandone aperto solo uno come dottamente consigliò il N. H. Cornaro. Il che facilmente si può praticare col far duplicati sostegni ovver porte alli fiumi, l’uno che vadi al mare, l’altro che venghi in Laguna, chiudendoli e aprendoli ai tempi debiti… Habbiamo gli esempi patenti in Fiandra che non solo regolano fiumi da altro riguardo che son questi, come vogliono, ma eziandio regolano il mare che è assai più alto del loro terreno e pure lo introducono e lo levano quando vogliono… ». E nel caso di ritorno di fiumi in Laguna « vi sarà un corso regolato come è detto senza opposizione » [19]

DIFESE ARGINALI URBANE

Nel metodo di studio dei problema idraulico ed edilizio anticamente unico, Venezia – Laguna, ed affidato ad un’unica Magistratura locale, si iniziò a partire dalla fine del sec. XVI un distacco, divenuto anche di competenza dopo la caduta della Repubblica. L’indirizzo della trasformazione dell’ Estuario in un lago marino e della completa estromissione dei fiumi, affermatosi nel secolo scorso, andò suscitando tin complesso di problemi sempre più complicati con quelli dell’idraulica dei vicino continente e furono trattati indipendentemente dalle ripercussioni e dai pericoli per le sorti della città. I problemi urbanistici ed edilizi di Venezia rimasero a sé stanti e si protrassero per secoli insoluti: acquedotto, fognatura, acque alte, stabilità degli edifizi, igiene, abitabilità, spazi disponibili, demografia, congiunzione alla terraferma, viabilità terrestre etc. Pochissimi, ed è noto quali, furono risoluti, altri sono in via di parziale risoluzione, ma i più gravi sono tuttora insoluti.

Se la scienza lagunare dei secoli XVI e XIX non previde le conseguenze « veneziane» dell’adottato regime, poi si finì col pretendere troppo dall’edilizia veneziana e dalla sopportazione dei cittadini e non si tenne sufficientemente conto dell’abbassamento bradisismico, in via prudenziale di cm. 14 al secolo [20] e si trascurarono insegna menti relativi alle difese urbane arginali.

La necessità di opporre dei ripari alle erosioni causate dalle correnti delle maree e dal moto ondoso lungo i margini dei terreni era sentito sino dai tempi di Cassiodoro. Dalla sua accurata, idilliaca descrizione pare che allora non fossero in vista disastri o minacce di alcun genere; non interramenti, non malaria, non sommersioni di abitati. Le abitazioni erano sparse, fondate su terreno asciutto, solido, elevato e preferibilmente lungo i canali per il comodo della vicina nave e della barca. Questa circostanza esigeva naturalmente l’esistenza di sotto stanti spiagge da servire all’approdo e per tirare in secca i natanti. L’opportunità di difese contro le erosioni appare dai ripari fatti di vimini e ripieni di terra e di sassi, che si collocavano dal pari lungo i margini di terre anche per difenderle dall’invasione delle acque nelle più alte maree (2)[21]. Siffatto sistema si protrasse nell’ambito lagunare per molti altri secoli, ma non anche allo scopo di una difesa immediata di centri urbani e di edifizi, perché ciò, come sistema, sopravenne più tardi. E non nel secolo sesto perché le abitazioni non si trovavano ad immediato con-

[1] come ho altrove Notato, dei 58660 ettari nei quali si estende l’attuale comprensorio lagunare, il 67,2 % è costituito da specchi d’acqua, il 25,4 % da barene soggette ad alte maree e il 7,4% è da isole o zone insommergibili, tra le quali è la città. È ovvio che nelle straordinarie maree annuali, quest’ultima percentuale si riduce sensibilmente. Intorno al primo secolo dell’età nostra gli specchi d’acqua non raggiungevano neppure il 7%

[2] Rompiasio, Metodo e Compilazione delle leggi etc. Collegio e Magistrate alle Acque, Venezia, 1771 p. 4.

[3] Antonio Piscina, Pratica Universale del Magistrato alle Acque, 1618, Ms. n 399 cc. 204, in « Bibli. Univ. Padova

[4] Discorsi di C. Sabbadino, sulla Laguna (del 1540), Ms. 399, CC. 308, in « Bibl. Un. Padova ». Il S. dice di non aver veduta la scrittura del Morosini, ma di ritenerla precedente di cent’anni.
[5] ANTONIO PISCINA, op. e 1. cit., CC. 504.
[6] A. PIScINA, 1. c. Fu il cardinale Francesco Sfondrati di Cremona (1493-1550)?
[7] A. PISCINA, 1. C., CC. 204 «Altri dissero di levar l’uso de’ luoghi per gli escrementi naturali rifformando i gatoli (condutture) della città»
[8] Discorso di Gio. Alfonso Dorelli sopra la Laguna al cardinale Pietro Basadonna. Il Borelli fu mate matico e filosofo (i 6o8- 1679) e si vanta discepolo di Benedetto Castelli monaco cassinese (1493.1550) matema tico e discepolo di Galileo e scrisse sulla Laguna nel L. II della Misura delle acque correnti. Ms. 399, in « Bibl. Un. Padova».
[9] « Le barene scoperte che sono per la Laguna altre volte furono vigne e orti, ma dominati e signoreggiati dal salso si sono ridotti a bassezza tale che come si vede sono superate dal salso come a S. Pietro in Volta, di là del Porto di Malamocco, al luogo di Pastene e dall’altro bando alla Valle Scomenzera di sopra di Venezia tra il canale di Murano e la Carbonara, a Lazzaretto Nuovo, a S. Francesco del Deserto… a S. Felice e tanti altri luoghi dove erano e al presente sono barene senza arzeri… Erano in molti luoghi di queste lagune delle saline, le quali abbandonate dagli uomini sono state dall’acqua salsa rovinate ». SABBADINO, Ricordi intorno alle provvisioni della Laguna, Ms. 399, CC. 385, O « Bibi. Un. Padova»
« Molti luoghi vicini sono disabitati che erano giardini e borghi di Venezia ». Alvise CORNARO, Trattato di acque, Padova, Perchacino, 1560 Vedi anche la Scrittura Sulla Laguna di MARCO CORNARO del 2459 a p. 75 Scrittura sulla Laguna per G. PAVANELLO in «Antichi Scrittori », R. Magistrato alle Acque. Venezia,1919
[10] Ricordi, cit., cc. 380.
[11] L’ Editto di Egnazio sulla Laguna di Venezia, N. 3-4, Marzo-Aprile 1938 XVI di questa Rivista.
[12] Il Comune è dato da quel segno (verde) che è l’ordinaria alta marea, ma il sopracomune non fa segno alcuno perchè varia da mezzo piede e quando di uno e quando di due ed eziandio di tre e quattro e anche soleva venire di quattro e mezzo prima che fosse ristretto il Porto di Malamocco. Così l’A. CORNARO il quale determinando in una ventina di volte all’anno i sopracomuni intendeva riferirsi a quelli più elevati, in relazione alle stagioni, ai venti, alla luna.
[13] Trattato di acque, cit.
[14] Al suo tempo erano cinque; in seguito avvenne l’interrimento di Lio Maggiore, indi i porti di S. Erasoco e Tre Porti formarono l’unico porto di S. Nicolò di Lido, gli altri due sono quelli di Malamocco e di Chioggia. È ben naturale che numerosi e profondi porti lagunari aprano l’ingresso a quell’immenso volume idricoche in parte assale la città.
[15] ALVISE CORNARO, Scritture sulla Laguna e sul Commercio, Ms. 384, cc. 110 a 129 e 152-127, anni 1549 1551 in BibI. Univ. Padova
[16] Lettera di Girolamo Fracasloro sulle Lagune di Venezia ad Alvise Cornaro, Venezia, Alvisopoli, 1815. Simone Stratico medico e idraulico (1733-1824) nel commentare la lettera si oppose al suo tempo all acque dotto perchè scrisse: una città in mezzo al mare non può aspirare a questo comodo» si che Venezia dovette attenderlo fino al 1875.
[17] BRIGHENTI D., Ricerche biologiche sulle Valli salse della Mesola, in «Bollett. della pesca e Acqui coltura», 1929, 1930, e 1935.
[18] Scrittura sui fiumi Musone etc. Ms. Marciana lt IV, 345, cc. zIo a – 247 b. In occasione del prosciugamento del lago di Arlem il Ministero dei LL. PP. compilò un progetto per la bonficazione della Laguna viva e morta (circa 5o.ooo ettari) con la spesa di 216 milioni. Progetto avversato da P. FAMBRI con la sua lettera: Intorno al nostro massimo problema lagunare e ai doveri del Governo italiano verso Venezia, in «Atti del R. Istituto veneto di SS. LL. AA. » (1880-1881), T. VII Serie V, disp. VIII.
[19] Discorso sopra la Laguna, Ms. 384, c. 230, in « Bibl. Univ. Padova ». Osservò che il Sabbadino «non ha in profondo considerato il danno e nemmeno penetrato il rimedio ‘. Anche l’Alvise Cornaro parlava di Sabbadino « come di persona non perita in le cose delle acque».
[20] È desiderabile che siano resi di pubblica ragione i prospetti statistici, dal 5887 ad oggi, meglio se più completi dei precedenti relativi alle alte e basse maree, tanto saggiamente compilati da F. C. Rossi dal 1872 al i886 inseriti e commentati nel suo studio su Il comune marino a Venezia, pubblicato in L’Ingegneria a Venezia, Naratovich, .1887. È necessario che sia conosciuto in quali proporzioni, misure e tempi la città subisce annual mente le sue più frequenti e vaste innondazioisi, che con tendenza crescente arrivano fino a m. 1,15 sopra la comune alta marea. Non è inutile che sia diffusa la consapevolezza del dinamismo e delle altimetrie delle maree almeno dal 5872 ad oggi, e quindi degli effetti, rebus sic stantibus, anche futuri sull’edilizia veneziana antica e nuova, delle comuni e delle basse, ma sopratutto delle sopracomuni, straordinarie ed eccezionali alte maree, quale ne sia il complesso delle cause geofisiche e idrauliche.
[21] « Domicilia videntur sparsa… Vimiuibus fiexilibus illigatis, terrena illie congregata soliditas aggre gatur et marino fiuctui tam fragilis munitio non dubitatur opponi… naves quas more animalium vestris pa rietibus illigatas diligenti cura reficite ». l XXIIII, a. 537-538

Informazioni su admin

Vicepresidente
Questa voce è stata pubblicata in Iniziative culturali, Storia e ambiente. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento