Il litorale della bonifica sprofonda più di Venezia!

L’oblio su fiumi e falde prosciugati, consumo di suolo e contaminazione salina, con l’ipersfruttamento turistico producono una condanna economica ed ambientale del territorio litoraneo!

di Roberto Scarpa*

Contaminazione salina e subsidenza

La presenza salina nel sottosuolo della “pianura costiera veneziana” è stata rilevata negli anni 60 del secolo scorso, durante gli studi sulla subsidenza (riduzione quota del suolo sul medio mare) di Venezia che stava rapidamente sprofondando (14 mm/anno misura massima). Le estrazioni idriche dalla zona industriale di P.to Marghera (subsidenza max. -17 mm/anno) erano la causa. Dopo il blocco degli emungimenti del 1970, imposti dalla Legge Speciale per Venezia, è conseguito il rallentamento della subsidenza poi stabilizzatasi per un lungo periodo tra circa -1,5 mm a Venezia fino al doppio in alcune aree lagunari.              

Sono successivi, dalla fine del secolo scorso, gli studi riguardanti la presenza salina nel territorio della bonifica coordinati dal CNR-Venezia e pubblicati dalla Provincia di Venezia nel 2003 (vedi nota [1]), della quale è stata accertata la correlazione con la carenza di acqua dolce nelle falde acquifere e conseguenti le condizioni favorevoli all’infiltrazione dell’acqua marina e lagunare (“dalla linea di costa o dalla conterminazione lagunare”), anche da fiumi e canali di bonifica dove la carenza idrica ne consente la risalita. Negli studi si legge: “quando il naturale deflusso di acqua dolce verso il mare viene ridimensionato o interrotto perché captato si verifica l’intrusione salina. … può innescare, con la salinizzazione dei sedimenti, un collasso delle argille superficiali per la variazione del chimismo delle loro acque interstiziali e quindi una ulteriore subsidenza”, e in prospettiva desertificazione e alterazione dei parametri geotecnici (portanza terreno/stabilità edifici). Era inoltre precisato che diversamente da ““infiltrazione salina” e “cuneo salino” indicativi del processo di ingressione dell’acqua marina negli acquiferi, la “contaminazione salina” era indicativa del processo geochimico quale forma di inquinamento “difficile da contenere e invertire”.                        

La subsidenza era riscontrata in “tutto il comprensorio lagunare e le zone limitrofe … soprattutto nelle aree interessate da passate estese bonifiche … appurato un aggravamento dei tassi di abbassamento lungo il cordone litorale di Cavallino-Jesolo … nuovi sfruttamenti di acque sotterranee (dagli inizi del ‘90 … permessi per l’apertura di pozzi artesiani)”; con la sua misura, a Jesolo già superiore a  4 mm/anno, era già segnalata  tra le cause dei processi erosivi costieri.

Sono seguiti studi e monitoraggi per costituire la “base di partenza informativa e strumentale per un più corretto e razionale uso del territorio” (vedi nota [2]) che confermavano l’estensione delle dinamiche fino al fiume Tagliamento, pure la subsidenza amplificata (fino a 10 mm/anno a Jesolo) nelle aree di nuova edificazione; rilevato il pericolo di paleoalvei e paleocanali, vettori preferenziali dell’intrusione salina, pure l’importante corrispondenza delle aree dunali con la presenza di acqua dolce nel sottosuolo. Per ostacolare la progressione salina, in particolare nelle aree poste a quote già vicine o soggiacenti il livello del mare era indicata la necessità da riportare l’acqua dolce in maggiore quantità nel suolo, sottosuolo, canali della bonifica e fiumi.          

Tale indicazione riportava alla memoria l’originario stato di palude precedente alla bonifica della zona litoranea, territorio di acqua dolce al livello del mare e barriera alla propagazione salina: occupava la parte terminale e depressa della pianura alluvionale, generata dal trasporto solido dei fiumi alpini fino al mare e conclusa da arenile e dune. L’abbondanza di acqua dolce, anche nelle falde del sottosuolo, costituiva la barriera all’intrusione salina che la bonifica idraulica, avvenuta tra la fine ‘800 e gli anni 60 del secolo scorso, ha eliminato dalla superficie e dal suolo e poi gli usi agricoli e domestici hanno fortemente ridotto con l’emungimento del sottosuolo; nel frattempo anche il deflusso fluviale scarseggia e fatica ad arrivare al mare.         

Il riscaldamento climatico, che ha ridotto le precipitazioni nell’arco dell’anno e alimenta la crescita del livello medio mare (eustatismo), e l’impermeabilizzazione del suolo, impedimento alla presenza idrica nel suolo e all’infiltrazione per la ricarica della falda litoranea, rappresentano ulteriori condizioni che alimentano lo sprofondamento sempre più accelerato della fascia litoranea. Sprofondamento che raggiunge oggi valori analoghi a quelli che hanno motivato la chiusura delle estrazioni idriche a P.to Marghera, dopo l’alluvione del 1966; diversamente da allora, resta latitante la tutela del territorio e il governo del ciclo dell’acqua, mentre è perseguita la promozione turistica che alimenta valori immobiliari e consumo di territorio, oltre al consumo di acqua dolce.

 

[foto 1]  Il primo tratto del corso della Livenza immediatamente successivo alla  fonte  detta del  Gorgazzo ritratto nel luglio 2022.  La siccità pronunciata ha messo in crisi perfino il sistema carsico del Cansiglio che alimenta il Gorgazzo.

Il rischio costiero progredisce

Dagli studi sul riscaldamento climatico dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) derivano le previsioni della crescita del livello marino e conseguente rischio inondazione costiera. Su tali argomenti l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) è intervenuto con l’articolo dedicato all’innalzamento del livello del mare nelle coste del Mediterraneo pubblicato nella rivista scientifica “Environmental Research Letters” del dicembre 2023 (vedi nota [3]). Relativamente all’alto Adriatico si legge: “zone costiere basse come delta fluviali, lagune, aree di bonifica … subsidenza del suolo, erosione costiera e pressione antropica che accelerano il processo di inondazione … e ritiro e salinizzazione della falda freatica, … significativo fattore di pericolosità per le coste, popolazioni e infrastrutture”. La subsidenza pertanto accelera la dinamica delle previsioni dell’IPCC. E rilevata nell’articolo è la necessità di migliorare la divulgazione scientifica e di ovviare alla perdurante disinformazione della popolazione sull’aumento del livello del mare e “della subsidenza del suolo e del relativo rischio costiero che hanno un impatto sull’ambiente, sulle infrastrutture costiere e sulle attività umane”; sono indicati i valori della subsidenza (media pluridecennale) di oltre -6 mm/anno per il  Polesine, e tra -4 e -6 mm/anno sul litorale veneziano e intorno lagunare, tra -2 e -3 mm/anno nell’area lagunare. La misura del Polesine è indicativa della gravità del problema indipendentemente da nuove estrazioni di idrocarburi; sulla fascia litoranea e intorno laguna la tendenza è l’aggravamento rispetto agli studi di inizio secolo.              

Sul litorale veneziano, la perdita di quota complessiva (subsidenza più eustatismo) del suolo degli ultimi decenni è circa 10 mm/anno come valore medio; l’eustatismo degli ultimi 15 anni (dati ISPRA) è di +7 mm/anno, in accelerazione; studi del CNR (vedi nota [3]) nelle aree di nuova edificazione (Jesolo) indicano per la sola subsidenza fino a – 10 mm/anno. Permane però su tali dati l’oblio, come pure sulle prospettive conseguenti per territorio e persone, da parte dei responsabili del governo del territorio (è di oltre 40 anni fa la delega alla Regione). Già estesamente sotto il livello del mare a inizio secolo, da allora la quota del suolo ha perso ulteriori 20 cm circa e la perdita prospettabile al 2050 è di aggiuntivi 30 cm date le dinamiche in corso e al netto dei contributi di amplificazione per l’accelerazione del riscaldamento climatico, per il processo di urbanizzazione promosso dai piani urbanistici comunali, per la progressione dell’erosione dell’arenile e della risalita salina dalle foci fluviali. Dalle dinamiche in atto, come evidenzia l’INGV, deriva pericolo per le popolazioni e le infrastrutture, pure per le coste e nel caso della penisola Cavallino-Jesolo viene quindi messa in gioco la difesa di Venezia e laguna dal mare; per quanto ancora? 

[foto 2] Il Gorgazzo, sorgente della Livenza, nell’estate del 2022 ormai privo di flusso.

Governo del territorio? Sostenibilità? 

La prefazione del citato documento della Provincia di Venezia riporta: “Questo studio ha consentito di ottenere informazioni indispensabili per governare i vari processi che possono provocare conseguenze indesiderate sulla qualità della vita, sull’ambiente sull’economia … abbassamento del suolo amplificato e velocizzato da colpevoli (in quanto oggi ampiamente note) iniziative dell’uomo”. La Legge regionale n.11/2004 -“Per Il Governo del Territorio”, tuttora vigente,  all’art. 1 indica le regole da osservare per l’uso del suolo: “regole per l’uso dei suoli secondo criteri di prevenzione e riduzione o di eliminazione dei rischi, di efficienza ambientale e di riqualificazione territoriale”. Sono tali regole basilari e motivo della pubblica utilità dei piani urbanistici; all’art. 2 seguono “Contenuti e finalità”: “promuovere uno sviluppo sostenibile e durevole… nel rispetto delle risorse naturali … sicurezza degli abitati e del territorio dai rischi sismici e di dissesto idrogeologico”; poi all’art. 4: “provvedono alla valutazione ambientale strategica (VAS) degli effetti derivanti dalla attuazione degli stessi ai sensi della direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2 0 0 1”. La rilevata presenza dei “processi di abbassamento del suolo amplificato e velocizzato da colpevoli iniziative dell’uomo”, non ha trovato però il seguito dovuto nei piani comunali e nelle innumerevoli varianti (spesso per iniziative pubblico-private a scopo turistico-ricettivo e con consumi idrici e di suolo) approvate. Le procedure amministrative sono state svolte con modalità formalmente regolari ma carenti nel contenuto, incompleti dei riscontri necessari per attendibili valutazioni: sono frequenti se non prevalenti gli studi ambientali incompleti e/o inadeguati di professionisti designati da Comuni o committenti (nel caso di progetti di iniziativa privata) e inadeguate le conseguenti valutazioni svolte dagli uffici pubblici che ne hanno condiviso e legittimato  il contenuto con i pareri favorevoli, per il “via libera” legittimante i provvedimenti che consentono la trasformazione del territorio. Conseguente il consumo idrico e di suolo, l’impoverimento della struttura idrogeologica, ovvero le criticità in atto delle quali è stata evitata la considerazione delle cause generatrici. Le valutazioni ambientale VAS, VINCA e VIA svolte hanno conseguito nella quasi totalità dei casi esito favorevole, spesso condizionato da decine di prescrizioni per variazioni non marginali ma rilevanti per la funzionalità di piani o progetti. La prospettiva dell’adeguamento di questi ultimi (resta esemplare la vicenda del Ponte sullo Stretto di Messina) generalmente sortisce effetti che non corrispondono agli obblighi, che restano buone intenzioni. Le valutazioni ambientali, generalmente scarsamente attendibili per piani o progetti che rinviano alla fase esecutiva la definizione delle soluzioni tecniche , comportano incertezza di costi e tempi di realizzazione e pure esiti ambientali penalizzanti come correntemente e diffusamente è riscontrabile non solo solo per gli argomenti oggetto delle presenti considerazioni..         

L’emergenza e la normalità. Il bacino elettorale invece del bacino idrografico

Nel 2022 lo “stato di crisi idrica” è stato proclamato nel mese di luglio dal Presidente della Regione Veneto per “deficit idrico generalizzato” dei fiumi regionali, dopo un preallarme già a maggio. La situazione analoga si estendeva nell’intera pianura Padana. Con limite fine anno, la situazione di emergenza perseguiva l’obiettivo della “tutela della risorsa idrica per le finalità idropotabili ed irrigue, nonché per garantire la salute pubblica” (ai sensi D.lgs. n.152/2006), data la rilevata carenza idrica nei fiumi in fase di ulteriore aggravamento e la “risalita del cuneo salino – … nella rete idraulica superficiale … perdurante assenza di precipitazioni e della correlata persistente condizione di elevata conflittualità degli usi”; per contrastarla, le misure indicate erano il contenimento delle “utenze irrigue … di acque superficiali e sotterranee” più regole gestionali per gli invasi idroelettrici (dighe). La causa dell’emergenza era rinviata alla “perdurante assenza di precipitazioni” e conseguente, nei fiumi, la carenza idrica e la “risalita del cuneo salino”, per una dinamica quest’ultima riferita ad effetti limitati alla dinamica fluviale; non compariva il riscontro della presenza salina nelle falde idriche e i noti conseguenti effetti della sua propagazione denominati contaminazione salina del suolo. Infatti invece compariva: “contrastare la risalita del cuneo salino nelle acque superficiali e sotterranee, riducendo allo stesso tempo i rischi di potenziali impatti negativi sullo stato ambientale”; quindi il riferimento era limitato al Po e per  rischi ambientali ancora solo potenziali, nonostante l’Ordinanza di 15 anni prima, per la Protezione Civile,  avesse indicato “per gran parte del Veneto” le “condizioni di criticità… ricadute non indifferenti sugli ecosistemi e sulle economie locali“, indicazioni in linea con le conclusioni degli studi del CNR ancora precedenti.

La carenza idrica nei fiumi era però tutt’altro che fatto nuovo, eccezionale. Era invece situazione oramai ricorrente della quale si leggeva, ad esempio per il Piave, fin dal 2009 sul quotidiano “La Stampa”: “121 centrali elettriche che gli prosciugano gli affluenti, … 98 mc/sec -(98 mila litri/sec.)- nei mesi secchi … per irrigare i campi”, pure le decine di prelievi idrici per l’innevamento artificiale, poi 17 invasi e 200 km di tubature (per trasferire altrove l’acqua). Situazione ricorrente e datata tanto che la stessa Regione, nella citata “ORDINANZA PROTEZIONE CIVILE 3598/2007”, indicava: “Il quadro brevemente delineato nella descrizione degli usi della risorsa mette in luce da un lato come in Veneto esistano evidenti situazioni di squilibrio tra la disponibilità idrica ed gli effettivi fabbisogni, … La crisi idrica che quest’anno ha interessato la Regione del Veneto  … venendo così a creare condizioni di criticità… anche ricadute non indifferenti sugli ecosistemi e sulle economie locali … Nel periodo estivo si registra una forte riduzione delle portate fluenti nel tatto terminale, con conseguente accentuata risalita del cuneo salino … ridotte portate comportano un aumento della concentrazione degli inquinanti normalmente presenti nelle acque del fiume… non potabilità delle acque distribuite … gravi danni economici al turismo.”                                    

Lo squilibrio tra disponibilità idrica fluviale e prelievi idrici è argomento trattato in modo circostanziato dal prof. Luigi D’Alpaos, in occasione di interventi pubblici e pubblicazioni riguardanti in particolare il fiume Piave che non è risparmiato dallo sfruttamento estremo della risorsa idrica sebbene noto per essere Fiume Sacro alla Patria. Emerge che significativa è la riduzione del deflusso che lo alimenta fin dalla sua parte montana del bacino idrografico, dove gli affluenti sono intercettati per la formazione di laghi artificiali (dighe), poi  il deflusso fluviale che arriva alla conclusione del tratto prealpino, già ridotto, è nella quasi totalità sottratto dalle derivazione dei  Consorzi (per l’irrigazione dell’alta pianura altamente permeabile con quantità che poteva essere compatibile con una riserva quale doveva essere il lago del Vajont, 150 milioni di metri cubi che dal 1963 dovevano essere disponibili, l’anno del disastro, che poi forse qualcuno ha dimenticato per gli effetti sulla disponibilità idrica) e minimale il deflusso in alveo a seguire nell’alta pianura dove è penalizzata l’importante funzione di ricarica del sistema idrogeologico connesso al fiume, a sua volta depauperato dai prelievi (tra i quali anche gli acquedotti del litorale ai quali attinge anche VERITAS Azienda veneziana dei servizi pubblici); intervengono poi nella bassa pianura altre sottrazioni per i più svariati usi e del deflusso resta ben poco. In compenso qualcun ha da tempo avvisato che in mancanza dell’acqua dolce arriva quella salata.

La carenza idrica nei fiumi in Veneto nell’anno 2022 era quindi evento tutt’altro che eccezionale, sebbene non prevedibile la tempistica esatta delle dinamiche naturali che hanno contribuito a determinarlo, ma non unica causa queste ultime dato lo spropositato prelievo che determinava la scarsa disponibilità idrica residua nei fiumi ed effetti conseguenti. Erano nel documento regionale di 15 anni prima argomenti quali lo “squilibrio tra la disponibilità idrica ed gli effettivi fabbisogni” e la risalita salina. Il picco raggiunto da quest’ultima nell’anno dell’emergenza, di alcune decine di chilometri su Piave, Brenta, Adige, Po (sul Po raggiunti 40 km dalla foce), era coerente con la dinamica in progressione. Lo stato di emergenza ha poi consentito l’acquisizione di finanziamenti pubblici per il risarcimento danni agli operatori privati e per qualche opera, come lo sbarramento sul Brenta di ostacolo alla risalita salina; il ritorno allo stato di “normalità” conferma la nota consuetudine del consumo idrico privo di limiti e del consumo di suolo in progressione promossi da Comuni e Regione. Anche l’economia turistica e l’infrastrutturazione della fascia litoranea e perilagunare possono progredire e alimentare contaminazione salina e subsidenza,  in attesa degli eventi climatici  che potranno determinare la nuova emergenza.

Lo stato di emergenza è stato anche motivo dell’ulteriore rinvio dell’obbligo applicativo del “deflusso ecologico” (nella quantità necessaria alla funzionalità dell’ecosistema fluviale e della sua biodiversità, presupposto per i servizi ecosistemici resi dai fiumi), previsto dalla Direttiva 2000/60 CE e non più rinviabile in condizione di normalità. Sono indicative dell’inadeguatezza dell’approccio regionale alla problematica della carenza idrica fluviale le dichiarazioni dell’Assessore regionale all’”Ambiente – Clima – Protezione civile – Dissesto idrogeologico”, comparse negli gli organi di informazione locale bellunese anno 2021, di contrarietà all’applicazione del deflusso ecologico per la penalizzazione dell’economia montana conseguente al necessario maggiore rilascio idrico per il deflusso fluviale a valle. La contrarietà derivava dal ridotto riempimento derivato  dei laghi alpini (bacini artificiali-dighe) e dalle penalizzazioni conseguenti per turismo e agricoltura locale, dalla perdita della produzione elettrica e anche della ricchezza biologica dei laghi (?). Una visione prettamente localistica incoerente con detta  norma vigente di tutela del bene pubblico, oltre che con  modalità di corretta gestione del bacino idrografico per fini di salvaguardia del territorio e della risorsa idrica. Prevalenti quindi le ragioni del bacino elettorale di riferimento del gestore regionale sulle ragioni tecnico-scientifiche e le norme vigenti.   

E’ sconsiderata e di rapina la corrente gestione dei sistemi fluviali, dove la presenza idrica è evento residuale dei prelievi indipendentemente dalle ricadute generate. La condizione riguarda anche gli acquiferi nel sottosuolo dell’alta pianura analogamente depauperati e il derivato sistema delle risorgive della media pianura dove, fino a qualche decennio fa, la ricchezza idrica caratterizzava suolo e sottosuolo e alimentava con i fiumi di risorgiva la bassa pianura e il territorio della bonifica fino al mare. Oggi la carenza idrica è dominante anche in tale sistema, e critiche le condizioni del deflusso anche dei relativi fiumi. Nemmeno aiutano le essenziali funzionalità fluviali (correntemente definiti servizi ecosistemici) le estemporanee opere di sbarramento e arginatura degli alvei e le attività estrattive dei sedimenti litoidi secondo logiche del mercato (recente la maggiorazione del 25% alle concessioni in atto), indipendentemente dagli effetti derivati dalle generate trasformazioni geomorfologiche e delle quote  degli alvei fluviali, sebbene essenziali per la dinamica idrogeologica generata del fiume (diffusiva o drenante)  oltre che  per le caratteristiche della dinamica idrica nell’alveo nei casi di piena. Dal trasporto solido dei fiumi alpini, generatori dell’intera pianura alluvionale e dell’arenile, dipende l’arrivo al mare dei sedimenti che consentono la presenza dell’arenile (anche legname e altro, importante per la sua struttura e resistenza all’erosione) e hanno funzione di contrasto dell’erosione del litorale, da tempo in progressione sempre più profonda e frequente

Per il contrasto dell’erosione litoranea il trasporto solido fluviale ha da tempo lasciato il posto al materiale lapideo trasportato dalle cave prealpine con  l’integrazione della sabbia recuperata in mare poi movimentata con mezzi meccanici. Le modalità esecutive rispondo alle esigenze funzionali e formali del turismo balneare con sedimenti privi di coesione, che non riproducono l’arenile di genesi naturale maggiormente complesso nella geomorfologia e struttura. La durata delle opere di ripascimento è effimera rispetto all’azione erosiva del mare in aumento, anche per la crescita del dislivello mare-suolo, e oramai ripetitiva nel breve corso dell’anno, mentre le criticità in atto dell’infiltrazione salina e della subsidenza restano prive considerazione come l’interferenza dei fondali marini per le opere di ripascimento, con effetti su habitat marino e risorse ittiche. Crescenti sono le risorse finanziarie della Regione e dei Comuni per mantenere l’arenile e crescenti le difficoltà per reperirle,  per sostenere l’economia turistica e il suo indotto edilizio-immobiliare e infrastrutturale promosso a piene mani, sempre da Comuni e Regione. Resta l’oblio anche  sui costi futuri, sulle possibili soluzioni per il contrasto di subsidenza e infiltrazione salina, rinviate ai posteri mentre gli effetti progrediscono.

Non semplice curiosità ma segnale delle trasformazioni ambientali conseguenti alla progressione salina nell’entroterra, ben oltre la fascia litoranea, è la presenza del granchio blu tra le prede dei pescatori del fiume Piave a Noventa di Piave, che dal mare dista circa 30 Km. E nel contempo dal Piave, all’occorrenza, è sottratta l’acqua per alimentare il basso Livenza che non di rado rimane a secco o quasi nel periodo estivo (vedi foto n. 2 della sorgente della Livenza nell’anno 2022), penalizzando l’irrigazione di ampie aree agricole della bonifica e pure la presa dell’acquedotto a servizio del turismo estivo (Eraclea, Caorle). E’ quest’ultimo acquedotto il presupposto per l’alimentazione idrica del previsto nuovo villaggio turistico (circa 14.000 persone e non meno di 3 milioni di litri d’acqua/giorno necessari, del quale nessuno si è preoccupato degli effetti indotti) in fase di approvazione a Eraclea, con regolare marchio di qualità della sostenibilità attestata da VAS, VINCA e pure VIA sempre favorevoli della Regione per il  piano e progetto, di iniziativa di società privata, proposti dal Comune. La norma urbanistica comunale (PAT) escludeva buona parte dell’area dall’uso insediativo proprio per le criticità idrogeologiche. Analogamente non considerate le altre migliaia di turisti aggiuntivi previsti dagli altri comuni del litorale, per altri milioni di litri di consumo idrico complessivo dei quali  nessuno ha indagato gli effetti aggiuntivi (effetto cumulativo cosiddetto, indispensabile per attendibili valutazioni ambientali) sulle criticità in atto.

Dopo la ”Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE” e successive norme nazionali di recepimento, il rinvio all’Autorità di Bacino della gestione della qualità dell’acqua non sembra sortire effetti significativi sul rispetto del necessario deflusso idrico in arrivo nella fascia litoranea, sui provvedimenti comunali e regionali riguardanti  piani e progetti di opere che prospettano ulteriore consumo idrico e di suolo e l’interferenza della struttura idrogeologica del sottosuolo. Alla medesima Autorità rinvia l’altra Direttiva 2007/60/CE “relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni”, rischio quest’ultimo che, come conferma l’INGV, non è trascurabile sul litorale date le criticità presenti e la loro accelerazione in atto.

Fattore climatico, fattore umano                                                                                          

E’ salita di circa 1,8 °C la temperatura media della zona litoranea negli ultimi 30 anni (vedi nota [6]), mentre le precipitazioni medie sono ridotte di quasi il 30%; nello stesso periodo, il livello del mare è cresciuto di 4,4 mm/anno (dati ISPRA) per il riscaldamento climatico globale, dato medio che però è di circa +7 mm/anno dal 2009, quindi in forte crescita. Si tratta di fattori che favoriscono la presenza salina a scapito di quella dolce, al quale contribuisce la scarsità del deflusso idrico fluviale fino al mare, che agevola la risalta salina nel fiume. Anche il deflusso fluviale è limitato dalla variazione della temperatura: nel bacino montano è ridotta la quantità delle precipitazioni e variata la sua distribuzione nell’arco dell’anno, con effetti di variazione del deflusso idrico in dipendenza del ridotto innevamento (dimezzato dal 1980) e anticipata la sua fusione, mentre sono ormai sciolti i ghiacciai (una decina circa) che circa 40 anni fa alimentavano il bacino idrografico della Piave). Conseguentemente significativa anche la riduzione dell’alimentazione fluviale differita derivata da fusione di primavera-estate che poteva sopperire ai picchi di consumo idrico in tale periodo, nel quale è massima la domanda idrica dell’agricoltura e del settore turistico, anche nel caso di scarse precipitazioni.

I consumi idrici abitualmente vicini al limite della disponibilità del deflusso fluviale sono all’origine della carenza idrica del territorio della bonifica come pure degli ostacoli al rilascio idrico necessario per il  “deflusso ecologico” derivato dalla direttiva europea. La prospettiva di nuovi picchi in riduzione della disponibilità idrica sta nella dinamica climatica in atto e con essa l’aggravamento dell’infiltrazione salina, della subsidenza in accelerazione ulteriore, della desertificazione. La sottrazione idrica da fiumi e sistema idrogeologico come variabile indipendente è insostenibile per la gestione del territorio; coerente con tale indirizzo è invece la legge regionale che rinvia al 2050 l’arresto del consumo di suolo, mentre permane la prospettiva insediativa aperta dai piani urbanistici comunali, di aggiuntivi consumi idrico e di suolo, peraltro legittimati  dall’attestazione di sostenibilità (le VAS, VINCA e VIA) che evita accuratamente gli effetti conseguenti alla prospettiva perseguita. Aggiuntivi, di quanto prospettato dai piani urbanistici sul territorio litoraneo e perilagunare, sono i progetti di infrastrutturazione pesante riguardanti autostrada, ferroviaria e aeroporto, per rilevante consumo di suolo e pure di presenza di manufatti anche entro terra, in aree particolarmente esposte all’infiltrazione salina per le caratteristiche geologiche e idrogeologiche aree della bonifica interessate.

Alla disponibilità idrica minimale o quasi nulla nella fascia litoranea nel periodo estivo, corrisponde il fabbisogno massimo per l’irrigazione agricola, pure per l’acqua dolce nella rete idraulica minore e canali per contrastare la risalita salina, come segnalato dal Presidente ANBI veneto nel 2021 (vedi pag. 3) che ricorda pure le cause del problema. Ma delle cause del problema non sembra più di tanto partecipe il Sindaco di Jesolo quando afferma che la sua è città turistica che raggiunge 500 mila persone (vedi nota [7]), quindi già il doppio degli abitanti della maggiore città veneta (c’è pure l’indotto per le varie funzioni di servizio con addetti), con prospettiva di ulteriore aumento. E sul litorale, che comprende anche il territorio dei Comuni di Cavallino-Treporti, Eraclea, Caorle e più lontana Bibione – San Michele al Tagliamento, gli Amministratori sono particolarmente attivi per la medesima finalità, con persone presenti che complessivamente raggiungono per lo meno il raddoppio. Il consumo idrico stimabile ora è dell’ordine di 200 milioni di litri/giorno, mentre per decine di migliaia di presenze aggiuntiva gli strumenti urbanistici comunali hanno già provveduto a riservare le aree , unitamente a nuove attrezzature di servizio, da “divertimentifici” e ogni altra funzione attrattiva di nuove tipologie di utenti. Nell’ordinanza dell’emergenza idrica 2022 era rilevata la conflittualità tra le categorie di utenti, affrontata imponendo la riduzione dei consumi; con il ritorno allo stato ordinario (normalità?) della carenza idrica consolidata i consumi possono riprendere senza limiti.

Lo “sviluppo” economico a trazione turistica e la sostenibilità come marchio di qualità

La sostenibilità è esplicitamente preannunciata nel titolo della legge regionale n. 11/2013 “Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto.”, con la quale la Regionericonosce il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico ed occupazionale del Veneto” e a tale fine “indirizza e organizza lo svolgimento delle attività economiche del turismo, con le seguenti finalità: promozione dello sviluppo economico sostenibile …registrazione del marchio “Veneto” ”. Il seguito applicativo è però quello abituale delle valutazioni ambientali di rito, pura formalità. E’ d’esempio l’applicazione delle “LINEE GUIDA NAZIONALI PER LA VALUTAZIONE DI INCIDENZA” (VINCA), del 28.12.2019, per più stringenti modalità di applicazione di tale valutazione ambientale al fine di “ottemperare agli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del contenzioso comunitario avviato in data 10 luglio 2014 con l’EU Pilot 6730/14, in merito alla necessità di produrre un atto di indirizzo per la corretta attuazione dell’art. 6, commi 2, 3, e 4, della Direttiva92/43/CEE Habitat.”- ovvero la CE aveva rilevato la non corretta applicazione della VINCA e ne precisava le modalità applicative -. E la non corretta applicazione è proseguita anche dopo, le valutazioni VINCA sono continuate come prima, con riferimento ai precedenti regolamenti regionali inadeguati.

Nonostante queste mancanze si sbandiera la “sostenibilità” come mezzo di promozione turistica, marchio di qualità del turismo nel Veneto che la legge definisce strategico e conseguentemente è di pubblica utilità la sua promozione “per lo sviluppo economico ed occupazionale del Veneto”.  Restano in tal modo insondate anche le ricadute negative su ambiente e biodiversità decisivi per l’evoluzione del paesaggio e quindi pure per il futuro dell’economia turistica. La subsidenza in atto, con dinamica più che doppia sul litorale veneziano rispetto a Venezia, e gli effetti della contaminazione salina, non prospettano a medio-lungo termine un futuro favorevole per l’utilizzazione turistica del litorale; la stessa funzione di parte del litorale veneziano, di difesa dal mare di Venezia e laguna, è una funzione a termine condizionata dall’accelerazione del processo di subsidenza-contaminazione salina, aggiuntivo dell’eustatismo.

Il turismo dei grandi numeri non solo a Venezia ma anche sul litorale è perseguito da Regione, Comuni e Area Metropolitana, turismo che alimenta il comparto edilizio immobiliare sulle aree che gli stessi promotori hanno messo a disposizione con i PAT comunali e l’accompagnamento di progetti di infrastrutture per la mobilità. Un esempio è la nuova “Autostrada del Mare”, progetto promosso dalla Regione per l’accesso al litorale (Meolo-Jesolo), poi il piano PUMS per nuovi accessi a Venezia, dal bordo lagunare attraverso la laguna, promossi da Comune di Venezia e Città Metropolitana. Nel caso dell’autostrada, il tracciato attraversa il territorio compreso tra Piave e laguna dove è stata rilevata la presenza salina e il consumo di suolo conseguente ne favorirà la presenza, anche per gli effetti dell’aggiuntivo adeguamento viario locale, parcheggi e altro necessari per la funzionalità del sistema viario del litorale, date le insufficienze di quest’ultimo (congestione) già con i correnti flussi in arrivo. Per il citato piano dei nuovi accessi a Venezia e isole, attraverso le aree lagunari di maggiore valore ambientale-naturalistico ancora presenti (habitat Natura 2000, anche prioritari), si tratta di nuovi terminal turistici  e canali di navigazione che hanno ottenuto parere VAS favorevole condizionato dal parere  VINCA dell’allontanamento  dei terminal dalla laguna e senza lo scavo di canali, restando mistero la soluzione infrastrutturale per il transito dei turisti, in ogni caso incompatibili con la salvaguardia degli ambiti naturalistici; dal processo di valutazione è stato escluso il piano paesistico-ambientale della laguna (PALAV), vigente e che tali terminal e nuovi canali non consente escludendo già all’origine un’ipotesi progettuale perseguita da oltre un lustro dall’Amministrazione comunale. Sono questi ultimi due casi rappresentativi di una prassi più generale in materia di valutazioni ambientali che di fatto evadono la verifica, dovuta, delle ricadute derivate da piani e progetti  sia sul supporto fisico dell’ecosistema (suolo e acqua), sia sulla componente naturale e pure la mancata considerazione del livello della pressione antropica sugli ecosistemi del litorale e lagunare che già lo stato di fatto genera,  come stanno a dimostrare  le criticità in atto riconducibili alle attività umane delle quali le amministrazioni pubbliche e i relativi tecnici di riferimento preferiscono non prendere atto. E nel caso di Venezia la congestione turistica ha già effetti distruttivi dello spazio fisico della città divenuta museo a pagamento, delle sue calli invivibili, dei canali con moto ondoso permanente distruttivo di rive ed edifici che li delimitano, non solo delle barene, pure l’erosione del tessuto residenziale per i residenti conseguente alla conversione del patrimonio edilizio ai fini turistico-ricettivi.

In prospettiva c’è pure l’approvazione del potenziamento del terminal dell’aeroporto Marco Polo di Tessera (“MasterPlan 2023-2037”), tuttora in fase di valutazione ambientale presso il Ministero. L’aeroporto, operativo dal 1961 e localizzato sul bordo della laguna, nel tempo è stato integrato nelle strutture di servizio e accessorie (terminal) sulle aree circostanti. Col presupposto della previsione (un’opzione non obbligo normativo) del raddoppio al 2037 dei passeggeri, da circa 10 milioni attuali a 20 milioni, è prevista l’ulteriore integrazione del terminal comprendendo hotel di rilevanti dimensioni fronte laguna. Si tratta di piano per un insieme di opere da aggiungere a quelle esistenti su una complessiva rilevante superficie perilagunare, in buona parte impermeabilizzata, per la quale è dovuta la valutazione degli effetti sulla progressione della subsidenza e dell’intrusione salina sull’intera area di influenza, oltre che a tutela delle limitrofe aree abitate e dell’area aeroportuale medesima. Tale valutazione non è stata svolta in passato per le opere precedenti e nemmeno per la realizzazione della connessione ferroviaria dell’aeroporto, in corso di realizzazione, comprendente la nuova stazione per l’aeroporto in galleria, lunga quasi km 4, da realizzare per mezzo di manufatti entroterra a oltre 35 m. di profondità. Da aggiungere quanto si legge nella relazione idrogeologica: è previsto l’interferenza di più livelli di falda, anche in pressione, il drenaggio di 10.000 m3/giorno (10 milioni di litri/giorno) accompagnato da impianto di depurazione (costo stimato 13 milioni di euro), la presenza di paleoalvei e lenti di torba (tutti fattori che alimentano le note criticità), il recapito dei reflui idraulici in laguna (mancante la dovuta valutazione VINCA per la  di la salvaguardia di biodiversità e avifauna degli habitat della ZSC “Laguna Nord”). L’esito della valutazione VIA per l’opera ferroviaria, che doveva essere funzionale per le olimpiadi  di Cortina 2026 dove nemmeno arrivano le rotaie, è il parere favorevole della Regione (anno 2020). Pertanto, se l’attendibilità della valutazione ambientale del progetto di ampliamento del terminal conta ancora qualcosa, se norme vigenti e documenti scientifici restano i presupposti per tale valutazione, è l’effetto cosiddetto “cumulativo” che deve essere valutato per ottenere un’indicazione attendibile degli effetti dell’ulteriore progetto, comprendendo piani e opere, almeno quelle di prossimità, che condizionano la dinamica idrogeologica di prossimità lagunare per l’impermeabilizzazione del suolo, l’interferenza del sistema idrogeologico con opere nel sottosuolo e drenaggio dei relativi acquiferi, pure i consumi idrici attesi dal generato flusso turistico complessivo.  Non può essere trascurato il carico consolidato derivato dalle opere preesistenti e di vecchia data, come l’intera superficie aeroportuale, l’intero terminal presente, le opere di rilevante dimensione e utenza del Bosco dello Sport, la connessione ferroviaria in fase di realizzazione.   

Il portale di informazione economica, Veneto Economia, indica 22 milioni di presenze turistiche sul litorale veneziano nell’anno scorso. Entro breve dovrebbero partire i lavori per il potenziamento del terminal lagunare di Punta Sabbioni, Comune di Cavallino-Treporti, un’opera pubblica ampliata per l’adeguamento del servizio turistico in origine dimensionata per la prevalente mobilità locale. E’ questo il terminal di accesso a Venezia per una parte delle citate presenze turistiche sul litorale, data l’agevole accessibilità al patrimonio storico-monumentale e ambientale, motivo di ulteriore spinta per nuove infrastrutture, urbanizzazioni e via dicendo. E’  stretta la correlazione Venezia-litorale anche per l’aspetto della funzionalità ambientale, in particolare per la penisola compresa in Comune di Cavallino-Treporti e in parte nel Comune di Jesolo, che divide e difende dal mare la laguna e Venezia con prospettive poco rassicuranti per lo sprofondamento del suolo in atto che è noto (cfr. pubblicazione provincia-documenti CNR) da almeno 20 anni, come pure le sue cause, e nel frattempo in progressione almeno doppia rispetto a Venezia.

La vulnerabilità segnalata dall’INGV per la fascia litoranea e il pericolo inondazione coinvolgono quindi anche la salvaguardia della laguna, alla quale le consolidate modalità di applicazione delle norme vigenti certo non contribuiscono. Salvaguardia ambientale  dalla quale dipende il paesaggio lagunare, la tutela prevista dal D.M. 1.08.1985 che tuttora viene dimenticata e lasciata alla discrezionalità del caso, non solo per la scarsa considerazione dei documenti scientifici riguardanti problematiche e prospettive lagunari ma pure per l’omessa applicazione delle specifiche norme di tutela paesistico-ambientale del PALAV al quale rinvia il citato D.M.. E’ pure l’attuazione delle finalità del Sito UNESCO, di “Venezia e la sua Laguna” patrimonio mondiale dell’umanità, che tale prassi operativa contraddice, restano disattesa la limitazione della pressione turistica mentre il marchio UNESCO ha assunto la funzione di mezzo di promozione turistica a livello internazionale, analogamente a quanto avviene per l’annunciata sostenibilità.  

La progressione del processo di urbanizzazione e infrastrutturazione del litorale associata ad aggiuntivi consumi di acqua e di suolo è avvenuta nonostante  la presenza di norme vigenti che indicavano “uno sviluppo sostenibile e durevole… nel rispetto delle risorse naturali … sicurezza degli abitati e del territorio dai rischi sismici e di dissesto idrogeologico”, e pure di evidenze scientifiche, segnalate dalla Provincia di Venezia, che esplicitamente indicavano il pericolo generato dall’omessa considerazione delle criticità in atto.

La sostenibilità si ritrova come condizione applicativa anche nella Legge regionale n. 11/2013, come si legge nel titolo “Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto” e nel seguito “… riconosce il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico ed occupazionale del Veneto … sviluppo economico sostenibile”. Resta però ancora una volta un annuncio date le modalità della sua applicazione: pura formalità burocratica per una attestazione che rappresenta il marchio promozionale del turismo regionale sostenibile, come il turismo balneare, come le Olimpiadi di Cortina, ecc..  Con l’attribuzione del ruolo strategico, il turismo assume valore di pubblica utilità e porta con sé consumi di suolo e idrico per l’economia turistica fondata sui grandi numeri e grandi eventi, divertimentifici, infrastrutture pubbliche (è in arrivo l’autostrada del mare, ancora in forse ma fortemente perseguita da Regione Veneto e Comuni del litorale, l’aeroporto da ampliare, porto per grandi navi in laguna di Venezia anche se il Governo Draghi ne ha decretato il trasferimento in mare). Restano prive di valutazione le dinamiche ambientali generate dalle opere, non considerati i documenti scientifici che attestano criticità e loro cause, anche sul litorale e in laguna che sta dietro il litorale, e oltre.

La problematica salina della fascia costiera la ricordava il Presidente di Associazione Nazionale Bonifiche (ANBI) Veneto in occasione della “Giornata Mondiale della Terra 2021” come segue: “L’aumento della presenza di sale nel terreno è uno dei principali valori di degrado del suolo. …sta aumentando nelle zone costiere del Veneto con rischio per la fertilità delle campagne ma anche per le falde acquifere sottostanti.contaminazione da sale … dipende … dall’attività dell’uomo: l’aumento dei prelievi di acqua dolce per uso potabile e produttivo lascia infatti spazio nelle falde alle infiltrazioni di acqua marinail Veneto è la regione con il maggior consumo del suolo dopo la Lombardia … il problema della salinizzazione va affrontato con la massima attenzione”. Una grido di allarme ancora una volta è rimasta priva di seguito.

La Legge regionale n. 14/2017 sul consumo di suolo, che ne rinvia l’azzeramento al 2050 mantenendo le smisurate espansioni insediative già previste dai piani urbanistici vigenti, non considera gli effetti derivati da  tale prospettiva sui processi di degrado di del territorio in atto e già noti da tempo. La problematica salina è considerata entro il limite del danno, causato all’approvvigionamento idrico per la produzione agricola e gli acquedotti, da affrontare con progetti di opere come ad esempio quelli in prossimità delle foci dei fiumi Brenta e Adige per fermare il riflusso salino oppure il progetto (finanziato dal Ministero dell’Agricoltura) per la diga sull’affluente del Brenta (torrente Vanoi al confine con Trentino, circa 120 metri l’altezza) circa 30 milioni di metri cubi per l’irrigazione dell’alta pianura che però non migliorerà, tutt’altro, la disponibilità idrica sul litorale dove il Brenta già fatica ad arrivare al mare. Lo sbarramento in arrivo sul Brenta peraltro, a 4-5 km dalla foce comprende a monte la formazione di un invaso di acqua dolce utilizzabile per l’irrigazione, che risponde agli agricoltori in allarme per siccità e presenza salina nel suolo da oltre vent’anni (precedente la crisi idrica del 2003), ma non alla infiltrazione salina sul tratto fluviale a valle del futuro sbarramento, oltre che dal litorale dove suolo e falda idrica litoranea sono esposti alla progressione dell’erosione costiera. Nemmeno ben accetta dai valligiani è la diga sul Vanoi, neppure dalla Regione Trentino-Alto Adige, a differenza del “Consorzio di Bonifica Brenta” interessato all’irrigazione dell’alta pianura nel periodo estivo. Contraddittorio con il più generale indirizzo regionale quanto compare già nel 2007 nell’ “ORDINANZA PROTEZIONE CIVILE 3598/2007”, dove la stessa Regione Veneto indicava le difficoltà “di approvvigionamento idropotabile per gran parte del Veneto” e la carenza idrica fluviale nel tratto terminale, ma dimenticate nel 2017, dopo 10 anni dette problematiche e quelle inevitabilmente connesse  ai fini del governo del territorio regionale.

Allagamenti: come sprecare l’acqua dolce sempre più scarsa, e a caro prezzo

Anche sul territorio della bonifica del litorale le precipitazioni intense non sono rare o eccezionali, in un quadro di precipitazioni annue in riduzione rilevante, come già visto (in Fattore climatico). Precipitazioni rilevanti in breve tempo, comunemente definite bombe d’acqua, all’origine di allagamenti delle aree urbanizzate come pure di quelle agricole. Derivata è la richiesta dei Comuni colpiti alla Regione dello ”Stato di emergenza” al fine di ottenere finanziamenti risarcitori dei danni e per opere di contrasto di tali effetti. Queste ultime spesso si rivolgono a soluzioni di tipo impiantistico prive dell’indispensabile correlazione con le dinamiche ambientali e climatica in atto, penalizzando ulteriormente le criticità da scarsità idrica. Quanto sta avvenendo a Mestre, Comune di Venezia, è indicativo di tale indirizzo che denota anche l’irrazionale uso della spesa pubblica, dove nuove opere aumentano l’espulsione dal territorio della bonifica del volume idrico che temporaneamente provoca allagamenti.. Il risultato è ottenuto con l’aumento della capacità del sistema fognario, quindi nuove tubazioni e serbatoi in c.a. di rilevanti dimensioni entro terra per rilevanti movimenti terra e il potenziamento degli impianti idrovori per l’espulsione idrica. Rientra in tale schema operativo quanto il Comune di Venezia (vedi sito Comune di Venezia -Live) indica relativamente alla vasca di prima pioggia entrata in funzione nel 2022 (proprio l’anno dell’emergenza siccità): “in grado di contenere fino a 12 milioni e mezzo di litri… finanziata dal Comune di Venezia grazie ad un investimento di 8 milioni di euro, ottenuti tramite il Patto per lo sviluppo di Venezia, … vasca è gestita dal Gruppo Veritas … c’è poi un impianto idrovoro … portata di 10 metri cubi al secondo (10.000 litri) che si aggiungono agli attuali 3,5 metri cubi al secondo allontanati dall’idrovora del Consorzio di bonifica … un’opera di primaria importanza per la sicurezza idraulica del territorio e la salvaguardia dell’ambiente”; Veritas, società (per azioni pubblica) di gestione dei rifiuti e servizi puntualizza che trattasi  di opera per la salvaguardia dell’ambiente.  Sempre dalla stessa fonte informativa, riferita al 2023, la notizia di oltre 20 milioni di euro per altra “Vasca di accumulo per le acque meteoriche di Carpenedo e Bissuola”, capacità 15 milioni di litri, impianto idrovoro da 10 m3/sec. e scarico nel canale Osellino (che porta in laguna). Si leggono pure alcune affermazioni dell’Assessore all’Ambiente: “Come ricorda sempre il sindaco Luigi Brugnaro, affrontare i cambiamenti climatici significa attuare opere e progetti … Dopo tante promesse, ora stiamo dimostrando con i fatti che le politiche ambientali hanno bisogno di scienza, di tecnologia e di risorse economiche per la realizzazione, come in questo caso, di grandi opere.” Si percepisce l’orgoglio per l’opera in corso a dimostrazione della concretezza dell’azione di politica ambientale per mezzo di grandi opere e scomodando scienza e tecnologia coniugata a risorse economiche non irrilevanti. In realtà più che un miracolo della scienza e della tecnica (tubazioni e pompe) si tratta di spreco idrico e di rilevanti risorse pubbliche per ridurre o se va bene eliminare temporanei allagamenti delle aree urbanizzate ma al costo di maggiore deficit idrico nel territorio della bonifica perilagunare, dove la risorsa idrica altamente preziosa è gettata a mare.

Chi ha l’onere/responsabilità del governo del territorio, e nel caso dell’assessore in carica riunisce l’urbanistica e l’edilizia privata e il verde pubblico, per una concentrazione di funzioni che non sembra garanzia di terzietà/indipendenza delle funzioni di controllo, dovrebbe avere la consapevolezza delle criticità dei territori in gestione,  per lo meno il supporto di competenze tecniche idonee nei pubblici uffici, data la complessità e articolazione delle problematiche comunali del territorio comunale. Un argomento quest’ultimo che non sembra riscuotere il dovuto rilievo restando il settore tecnico-amministrativo dedicato all’ambiente non individuabile nel contesto del Comune di Venezia. Diversamente, una decina d’anni fa comparivano competenze scientifiche specifiche e documenti scientifici e normativi per la gestione delle problematiche lagunari (“Atlante della Laguna”) ora scomparsi, restando palesi le carenze di natura scientifica e gli oneri di opere irrazionali, decontestualizzate, nonostante la pretenziosa esibizione della politica del fare: “Dopo tante promesse, ora stiamo dimostrando con i fatti che le politiche ambientali hanno bisogno di scienza.”

Considerazioni conclusive

La carenza della risorsa idrica nel territorio litoraneo della bonifica sta anticipando i tempi previsti dall’IPCC per la sua sommersione marina a causa dello sprofondamento della superficie del suolo, come l’INGV  segnala in un recente documento (2023). La sua misura supera il mezzo centimetro/anno, ancora maggiore nel Polesine, e raddoppia la misura annua della perdita di quota del suolo rispetto al medio mare in crescita (vedi Il Rischio costiero). La notizia ha avuto seguito pressoché nullo negli strumenti di informazione, nonostante l’indicazione contenuta nel documento medesimo della necessità di informazione dei cittadini, di maggiore loro consapevolezza di un problema che deve essere affrontato per limitarne gli effetti penalizzanti in arrivo per persone e loro attività. L’argomento non è però una novità perché già nel 2003 compariva nella pubblicazione della Provincia di Venezia che riportava l’esito degli studi del CNR (Carbognin-Tosi) sull’intrusione salina e subsidenza nel territorio litoraneo. Il documento segnalava la subsidenza in atto in “tutto il comprensorio lagunare e le zone limitrofe … soprattutto nelle aree interessate da passate estese bonifiche … appurato un aggravamento dei tassi di abbassamento lungo il cordone litorale di Cavallino-Jesolo … nuovi sfruttamenti di acque sotterranee (dagli inizi del ‘90 … permessi per l’apertura di pozzi artesiani)”. Le problematiche segnalate erano proposte all’attenzione con l’indicazione di “indispensabili per governare i vari processi che possono provocare conseguenze indesiderate sulla qualità della vita, sull’ambiente sull’economia … abbassamento del suolo amplificato e velocizzato da colpevoli (in quanto oggi ampiamente note) iniziative dell’uomo”. Già allora l’argomento non ha però ottenuto l’attenzione e il seguito operativo dovuto, da parte di Comuni e Regione responsabili del governo del territorio e pure degli organi di informazione, nonostante i successivi riscontri e approfondimenti delle istituzioni scientifiche avessero rilevato la progressione delle note criticità.

Non sorprende più di tanto tale inadeguatezza gestionale quando si legga il documento prodotto nel Novembre 2010, presso il Consiglio Regionale del Veneto, dal prof. Luigi D’Alpaos allora docente (ora emerito) di Idrodinamica presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Padova, per un parere richiesto sulla difesa e tutela del suolo dopo l’evento alluvionale che aveva colpito la Regione. Di seguito si riportano alcune parti dell’intervento che, sebbene riferita a specificità diversa da quella fin qui considerata, restano a mio avviso indicative di radicate  modalità di gestione, inadeguate, della risorsa idrica e del territorio: “…accanto ai problemi sui grandi fiumi da molti anni a questa parte ormai noi viviamo problemi minori ma anche importanti e fastidiosi intorno alla cosiddetta rete idraulica minore, cioè alla rete dei canali della bonifica che in buona sostanza è la rete che drena il territorio che sta tra un fiume importante e l’altro fiume importante.”… bisogna stare attenti col significato degli aggettivi perché eccezionale significa che si è verificato ma che per trovarne un altro di confrontabile bisogna andare molto indietro nel tempo. Se ti è capitato l’anno scorso, ti capita addosso adesso, prima era in primavera, poi in autunno e poi ti capiterà anche l’anno prossimo, probabilmente questi non sono eventi eccezionali, sono eventi che sono ahimè nella normalità. … uso dissennato del territorio effettuato in questi ultimi cinquant’anni, quindi qui non possiamo invocare il nonno o il babbo ma dobbiamo guardarci in faccia e dire che tutto quanto vediamo con riferimento alla rete idraulica minore è conseguenza di una pianificazione territoriale che è avvenuta come se la realtà idrografica e idraulica del territorio veneto non esistesse … uso veramente inconcepibile del territorio sono un’urbanizzazione diffusa a dismisura che si è accompagnata a una inevitabile tendenza all’impermeabilizzazione dei suoli e quindi, a parità di afflusso meteorico, a una risposta di questi suoli molto più pesante in termini di portata. … Ai miei colleghi spesso ho detto: voi fate così perché siccome la vostra parcella viaggia in proporzione al costo dell’opera, più grande è il tubo più costa e più conveniente è farlo.”

L’inadeguatezza del modello gestionale a mio avviso si ripropone in buona misura per l’aspetto della carenza idrica, il rovescio della medaglia dei frequenti allagamenti conseguenti al riscaldamento climatico, noti anche nel territorio della bonifica litoranea. L’inadeguata pianificazione del territorio, la soppressione della rete idraulica minore e l’impermeabilizzazione del suolo, sono fattori che concorrenti della carenza idrica consolidata, come pure l’emergenza dichiarata per eventi che eccezionali non sono ma invece probabili e aventi concause che richiamano l’inadeguatezza della gestione pubblica della risorsa idrica e del territorio. Resta significativa e attuale pure la parte dell’intervento dove il prof. ricordava: “… io dico sempre, è molto facile attribuire al mondo politico la responsabilità, credo invece che una grossa responsabilità ce l’abbia il mondo tecnico, ovviamente il mondo tecnico che è attorno alla politica perché io non sono nato ieri, voi non siete nati ieri, e sapete benissimo che c’è un giro dei supporter che circondano e che non sempre secondo me suggeriscono cose di qualità.”

L’oblio permane pertanto sulle criticità in atto e conseguente riduzione del livello del suolo rispetto al medio mare che, da inizio secolo, misura circa 20 cm e prospettano al 2050 circa 30 cm aggiuntivi permanendo le dinamiche in corso, che però sono rilevate in accelerazione. Particolarmente grave tale prospettiva per un territorio già estesamente soggiacente il livello del mare, dove le opere della bonifica consentono la presenza umana e relative attività. E nel frattempo la carenza idrica con conseguenti infiltrazione salina e alterazione geochimica dei sedimenti sta alimentando l’accelerazione della subsidenza nella fascia litoranea e perilagunare.

Tutt’altro che trascurabile quanto il prof. D’Alpaos asseriva relativamente alla responsabilità degli eventi, non solo il “mondo politico” ma la “grossa responsabilità ce l’abbia il mondo tecnico … un giro dei supporter”, per una questione che per dirla in breve coinvolge non solo scienza ma pure coscienza. Riguardava le responsabilità di parte tecnica, sia di quella pubblica che di quella privata, che dovrebbe indirizzare secondo competenza professionale e regole deontologiche (i motivi della pubblica utilità delle professioni e dei relativi albi professionali) l’operato del mondo politico”. Ben diversa dall’utilità pubblica è invece la priorità operativa perseguita con piani e progetti subordinati al valore generato sulle aree interessate o di prossimità, oppure al tornaconto di chi realizza o progetta l’opera: è tale vantaggio economico generato che prevale a discapito degli svantaggi collettivi generati, non solo quelli economici diretti ma spesso sono rilevanti gli altri, difficilmente quantificabili quando di mezzo c’è il degrado/consumo  di suolo e idrico con effetti estesi sull’ambiente, al quale è correlato il  paesaggio che nella componente naturale delle connotazioni (la geomorfologia e sovrastante vegetazione/biodiversità) ne resta condizionato. Il ciclo dell’acqua resta essenziale per l’evoluzione dell’ambiente e del paesaggio. La prevalenza del vantaggio economico a dispetto delle norme e piani di tutela vigenti, che annulla le tutela dei cittadini dalle penalizzazioni derivanti da piani e progetti, deve inevitabilmente superare la legittimazione dei tecnici, più agevole  se adattati a “supporter” delle dinamiche politico-economiche; tali funzioni apicali degli uffici pubblici consentono poi il ruolo  di supervisore dei livelli tecnici inferiori. In mancanza della correttezza operativa degli uffici pubblici resta arduo per la parte tecnica privata trovare la forza per imporre scienza e coscienza al committente, restando la regola imposta di fatto dalla parte pubblica. Resta pertanto difficile, in via di estinzione la sopravvivenza di scienza e coscienza nel contesto amministrativo dove prevale la convenienza del caso; chi quest’ultima regola non segue è consigliato di cambiare professione, andare altrove o all’estero; anche l’informazione è generalmente carente negli argomenti penalizzanti il vantaggio economico privato derivato dall’arbitrio amministrativo, ai giornalisti è sconsigliato di occuparsene a meno che scoppi la “bomba” della vicenda giudiziaria.

La nota vicenda giudiziaria di qualche anno fa riguardante il progetto MOSE con coinvolgimento del Presidente e Assessore regionale, per un lungo periodo insediati in tali cariche, ha messo in luce che vantaggi personali e di altri condizionavano i provvedimenti regionali. Implicito l’inevitabile ricorso al “giro dei supporter” negli uffici tecnico-amministrativi per la legittimazione formale (attestazioni, pareri) degli atti conclusivi della Regione idonei allo scopo. Emblematica a tale fine le l’attendibilità del parere della Regione sul progetto MOSE, poi approvato anche dal Ministero in carenza delle valutazioni ambientali VIA-VINCA, motivo del conseguente procedimento di infrazione comunitario. La vicenda giudiziaria non ha però generato variazioni sulla consolidata prassi gestionale degli uffici regionali, che sono sovraordinati e riferimento per Comuni e Città Metropolitana per le modalità interpretative di norme e piani vigenti, ai fini dell’approvazione di piani e progetti. Più recenti sono le notizie degli organi di informazione sulla vicenda giudiziaria veneziana denominata “palude”: oltre a Sindaco e un Assessore sembra emergere anche il coinvolgimento delle strutture tecniche comunali per attestazioni che non trovano corrispondenza nelle norme vigenti. Un fatto  quest’ultimo che non dovrebbe destare sorpresa dati i non rari precedenti anche negli Uffici comunali: per esempio è nota la restituzione da parte della CE (Commissione Europea) del progetto “Bosco dello Sport”, presentato per accedere ai fondi PNRR sulla base di attestazioni di compatibilità risultate inattendibili col risultato del diniego di tali fondi; altri riscontri sono facilmente rinvenibili nelle registrazioni delle commissioni consigliari dove è verificabile il grado di attendibilità delle relazioni istruttorie illustrate dai Dirigenti comunali ai Consiglieri. Non resta che sperare che la vicenda giudiziaria, se fondata, torni utile anche per riportare maggiore correttezza e responsabilità negli Uffici comunali per evitare la progressione delle criticità ambientali e pure l’ulteriore discredito delle Istituzioni che l’arbitrio amministrativo, divenuto presenza tutt’altro che rara, diffonde. Derivati effetti deteriori per la convivenza civile, progressivamente assuefatta alla mancanza del rispetto delle regole che resta fondamento della democrazia oltre che presupposto indispensabile per il contrasto a malaffare e criminalità che in Veneto e sul litorale non sono nuovi.

Mentre sostenibilità e il Sito UNESCO valgono come marchi promozionali del turismo di massa, la  necessità derivata di consumo aggiuntivo di acqua e di suolo per infrastrutture e urbanizzazione è distruttiva del territorio e priva di prospettiva, dati gli effetti indotti. Questi ultimi restano tuttora occultati grazie all’incoerente applicazione degli obblighi imposti dalle norme vigenti e si aggiungono alla gestione del territorio agricolo responsabile di quasi la metà del consumo idrico complessivo, dove l’eliminazione della rete idraulica minore e la gestione e sistemazione dei suoli non agevola la presenza e l’assorbimento idrico (favoriti gli inconvenienti delle cosiddette “bombe d’acqua”).

Segue l’appendice con un paio di esempi emblematici della prassi amministrativa consolidata in materia di valutazioni ambientali, nelle quali è evitata la valutazione degli effetti della espansione insediativa e infrastrutturale su sistema idraulico e idrogeologico, su suolo e sottosuolo e sulle prospettive di accelerato degrado conseguente. Di tale rinuncia è rappresentativa la conclusione che si legge nel Rapporto Ambientale riguardante il nuovo Villaggio turistico con capienza di quasi 15 mila persone, più annessi e connessi, commercio e “divertimentificio” in fase di approvazione a Eraclea, dove si legge: “mentre permangono le situazioni di minaccia legate al fenomeno di erosione delle coste, avanzamento del cuneo salino non risolvibili se non con interventi strutturali, le opportunità generate dalla Variante al PUA vigente consentono la valorizzazione e fruizione del sistema ambientale e rurale con caratteri di reversibilità migliorando le relazioni tra l’insediamento di Eraclea mare e il nuovo villaggio, la diversificazione dell’offerta turistica con un incremento dell’occupazione.” Quindi nemmeno indagate ma rinviate ai posteri rimanevano “le situazioni di minaccia”, mentre invece è “la valorizzazione e fruizione del sistema ambientale … la diversificazione dell’offerta turistica” che hanno motivato la favorevole indicazione fornita per il piano di villaggio turistico. Nessuna considerazione sulla disponibilità idrica del Livenza (vedi foto. n.1  sorgente Livenza 2022), dal quale deriva l’approvvigionamento dell’acquedotto, che per dare continuità al deflusso a mare è dipendente dalla derivazione dal fiume Piave nel quale, a sua volta, si registrano decine di chilometri di risalita salina tanto da consentire il granchio blu fino a Noventa di Piave. Il secondo è il caso della galleria per la connessione ferroviaria dell’aeroporto di Tessera, che doveva servire per le olimpiadi di Cortina dove nemmeno arriva la linea ferroviaria.

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Note per il reperimento in rete di documenti richiamati nel testo

[1] Studio relativo ai fenomeni di intrusione salina e di subsidenza (ISES) sulla bassa provincia veneziana e padovana [Città Metropolitana di Venezia – Politiche Ambientali]

[2] Vecchio A. et al 2024 Environ. Res. Lett. 19 014050. Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts  [iopscience.iop.org]

[3] Tosi L. La subsidenza naturale ed indotta della laguna di Venezia: aspetti consolidati e ricerche di frontiera”. CNR-ISMAR. (7 maggio 2018)

[4] Tosi L.,  Di Sipio E., Carbognin L. , † Zuppi Giovanni Maria, Galgaro A., Teatini  P., Bassan V., Vitturi A. Intrusione salina. [earth-prints.org]

[5] ARPAV,  Precipitazione annua in Veneto.

[6] Il Nord Est, Mezzo milione di persone in estate: ´Jesolo diventi città balneare e abbia i benefici che merita.

APPENDICE

ALCUNE VALUTAZIONI AMBIENTALI SVOLTE (VAS, VIA, VINCA), SEMPRE FAVOREVOLI.
Il Parere VAS della Regione, n. 61/1.07.2020, riguardante il piano urbanistico (PUA) per Il “Villaggio Turistico Integrato” di Valle Ossi in Comune di Eraclea, esteso circa 251 ettari , richiesto dal Fondo Copernico NAMIRA S.G.R.p.A., è stato favorevole ritenendo sostenibile il Piano in via subordinata all’ottemperanza di 17 prescrizioni tra le quali la verifica della sicurezza idraulica, il monitoraggio delle acque, del cuneo salino, dell’eustatismo e della subsidenza e pure degli effetti cumulativi.

Ricadeva in area agricola dove il PAT comunale ne segnalava la presenza della risalita del cuneo salino, la salinizzazione e  l’accelerato abbassamento del suolo, il conseguente pericolo per la sicurezza idraulica, la stabilità degli edifici esistenti e di futura costruzione, la fertilità del suolo e per la biodiversità; per parte dell’area si poteva leggere pure il divieto di “modificazione dell’assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia” .
Interessata dal piano è l’area di bonifica, retrostante alla Laguna del Mort, divenuta idonea grazie al parere e successiva approvazione comunale ad ospitare il campeggio di circa 94 ettari per ospitare da 12.800 fino a 14000 presenze giornaliere; suddiviso in 3200-3500 piazzole, poi piscine, campi da tennis, campi da calcetto, impianti coperti per attività sportive e polivalenti, strutture commerciali. In precedenza, il Parere n. 113 del 08.08.2018 della Commissione VAS regionale richiedeva l’approfondimento del Rapporto Ambientale (R.A. cioè il documento prodotto dal committente al fine della VAS) relativamente a “subsidenza, e l’intrusione del “cuneo salino” “fonti di approvvigionamento idrico “effetti sinergico-cumulativi”; l’approfondimento è stato prodotto con contenuto sostanzialmente evasivo di quanto richiesto. Esemplare quanto nel R.A. si legge per la questione salina: “intrusione del cuneo salino ha negli ultimi anni assunto proporzioni preoccupanti, sia per frequenza, che per estensione “le forti salinità, registrate per molti giorni consecutivi, a distanze anche di 25 – 30 km per certi fiumi… La causa principale del fenomeno, è l’abbassamento delle portate dei fiumi “; l’argomento è concluso dal rinvio agli studi del 2003 (di L. Tosi e L. Carbognin) e da: “Nel territorio in oggetto non sono stati condotti specifici studi atti a definire l’esatto andamento del cuneo salino nelle acque di falda;  per l’approvvigionamento idrico il rinvio è alla fornitura di Veritas S.p.A., che già nel periodo estivo fornisce il litorale con prese sui fiumi Sile e Livenza”.  E’ palese quindi l’evasione del dovuto approfondimento, non risolto dall’indicazione dell’apporto di pozzi/emungimenti della falda nei comuni di Maserada sul Piave e Ormelle, località prossime al Piave – dal quale è derivata l’acqua nei casi di carenza sul Livenza – ma non si dice nulla relativamente agli effetti del consumo idrico aggiuntivo sulle fonti di prelievo, compreso l’effetto sinergico cumulativo dei prelievi per le migliaia di nuovi utenti e attività già consentite dai PAT dei comuni limitrofi e dipendenti dalle medesime fonti di approvvigionamento.

Sempre nel R.A. pure la valutazione delle interferenze con la limitrofa ” ZSC IT3250013 Laguna del Mort”, area con importanti habitat psammofili (sabbiosi) e avifauna, limitata al preliminare screening VINCA, dove da verificare era l’interferenza dell’attraversamento di persone (centinaia, migliaia? andata e ritorno) in transito tra il villaggio e la spiaggia, e la “soluzione” l’obbligo di redazione di un regolamento per il controllo degli accessi, di postuma redazione, priva quindi dell’indispensabile verifica degli effetti ai fini della conservazione di habitat e specie già penalizzate dalla pressione antropica e dalla dinamica del litorale in profonda erosione.

Ugualmente mancante e rinviata la verifica della sostenibilità del flusso veicolare generato e cumulato a quello previsto dagli altri Comuni, che sarà aggiuntivo per la viabilità congestionata già dai caselli autostradali nei mesi estivi. Le motivazioni del favorevole del Rapporto Ambientale (pag. 340): “mentre permangono le situazioni di minaccia legate al fenomeno di erosione delle coste, avanzamento del cuneo salino non risolvibili se non con interventi strutturali “.

Il PUA vigente interviene con una soluzione che contribuisce alla creazione di offerta turistica”. Il parere era favorevole mentre con le prescrizioni erano rinviate nuovamente gli approfondimenti e verifiche necessarie per procedere alla valutazione invece conclusa, in modo incompleto e per aspetti non marginali.
Il Comune di Eraclea ha poi approvato il Piano in variante urbanistica (D.G.C. n. 48/ 13.05.2021) legittimato dall’acquisito parere della Regione. Il progetto delle opere da realizzare è stato oggetto della successiva valutazione VIA, sempre da parte della Regione; l’applicazione delle prescrizioni doveva essere verificata.

Il progetto esecutivo delle opere per la realizzazione del villaggio turistico di cui sopra, oggetto della VIA regionale, variava in parte quanto previsto dal PUA: circa 2.900 piazzole per camper, roulotte e case mobili, non è inequivocabile se per 12 o 14 mila persone/giorno, impianti sportivi polivalenti, piscine e attività commerciali.

Era nuovo in parte il Committente (Elite Vacanze Gestioni s.r.l. e NAMIRA S.G.R.P.A.); lo Studio di Impatto Ambientale (SIA prodotto dalla committenza) presentato alla Regione rispondeva in modo solo parziale alle condizioni poste dalle 17 prescrizioni del parere VAS. Per l’approvvigionamento idrico, stimato in circa 2.000 m3/giorno (2 milioni di litri/giorno) a luglio e agosto, nulla riguardava il rapporto consumo/disponibilità idrica delle fonti di prelievo (Livenza e Sile) e men che meno il consumo idrico che doveva essere cumulativo del fabbisogno derivato dai piani comunali già approvati nei comuni limitrofi.

L’argomento cuneo salino era nuovamente rinviato, ai monitoraggi post opera, peraltro nei limiti del ristretto ambito dell’area del progetto dove già la sua presenza è indicata nella parte sud-est dell’area, mentre ben più estesi potranno essere gli esiti, cumulativi, dei prelievi idrici da Livenza e Sile (la relazione geologica rilevava il litorale in erosione e la presenza di paleoalvei, ovvero le vie preferenziali per l’infiltrazione salina).

Dall’autorità di Bacino Alpi Orientali sono state richieste integrazioni sulla qualità delle acque di scarico del nuovo depuratore (D. lgs. 152/2006 e Direttiva 2000/60/CE), oltre alle opere di mitigazione e protezione dal rischio alluvioni (D.lgs. 49/2010 e Direttiva 2007/60/CE) – l’area è depressa rispetto al medio mare e adiacente all’argine del Piave, sul lato esterno della curva prossima alla foce – ma nulla relativamente al rapporto consumo idrico, intrusione salina e subsidenza, come da lettera alla Direzione Valutazioni Ambientali regionale del 2.11.2023. Una nuova VINCA, compresa nel SIA, confermava di fatto l’irrilevanza del transito degli ospiti del villaggio per habitat e avifauna della Laguna del Mort, ancora una volta grazie alla rinviata definizione di un regolamento di gestione, in carenza delle dovute e circostanziate valutazioni prescritte dai regolamenti vigenti.                                                                                                       Privi del necessario riscontro nel SIA restavano gli effetti sulla congestione della rete viaria e altro ancora. La conclusione del procedimento VIA restava rinviato al 18.12.2024.

 

Il parere VIA della Regione, per il progetto di RFI S.p.A. di collegamento ferroviario dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, è stato rilasciato con decreto del Direttore della Direzione Ambiente n. 945, del 23 novembre 2020. L’approvazione del progetto è del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile, data 3.11.2021. Le opere sono iniziate.

Dei complessivi circa 8 km di linea previsti oltre 4 saranno realizzati in galleria impostata a circa 20 metri dal piano campagna e connessa a sottostante doppio diaframma verticale (in prosecuzione dei paramenti laterali) fino a oltre 36 m di profondità, risultando interferiti vari corpi idrici presenti, anche in pressione. La galleria sarà tangente all’area
aeroportuale con un ampio arco che ospiterà la stazione passante dell’aeroporto.

Nella “Relazione geologica geomorfologica, idrogeologica e sismica” del progetto
si legge (pag. 58), relativamente ai diaframmi laterali: “indicativamente previsti pari a circa 20/25 m da p.c.“, per un’indicazione palesemente errata rispetto al progetto, definitivo, che non depone per l’attendibilità della Relazione che si rifà a una modellazione riferita a manufatti di tali misure e non a quelli invece da realizzare. Si legge poi (pag. 81): “la zona di studio è interessata “nella parte finale da una vulnerabilità alta con punteggi pari a 63 e a 50“; pure: “La salinizzazione delle falde nelle aree per i lagunari dell’entroterra è principalmente dovuta all’intrusione di acqua dal mare e dalla laguna, talora seguendo vie preferenziali di deflusso sotterraneo, spesso favorita dall’altimetria del terreno nelle aree di bonifica che è anche di 2-3 m inferiore al livello medio del mare, ma avviene anche per dispersione dai fiumi e dai canali in condizioni di magra e/o marea o quando l’acqua marina risale e s’insinua sotto quella fluviale. ” depositi fini costituiti da argilla limosa debolmente sabbiosa con locali lenti di torba fino a 9 m “lenti limoso-argillose e locali lenti di torba fino a circa 30/35 m (10E-5 m/s<k<10E-6 m/s) sede di una falda localmente in pressione” argilla limosa debolmente sabbiosa con locali lenti di torba fino a circa 50 m (massima profondità raggiunta dai sondaggi) ” le linee isopieze indisturbate vengono innalzate dalla presenza dei diaframmi strutturali delle gallerie e delle trincee in progetto.“. In precedenza (pag. 26) si legge: “Nel caso della laguna di Venezia l’intrusione marina nei terreni superficiali coinvolge tutta l’area di gronda lagunare espandendosi verso l’entroterra da qualche centinaio di metri a qualche chilometro “comporta notevoli rischi ambientali in prossimità dei margini lagunari “potrebbe anche incrementare la subsidenza già in atto, che potrebbe accentuarsi sia in concomitanza di probabili cali piezometrici, sia per la sostituzione delle acque salmastre a quelle dolci negli interstizi dei sedimenti fini con conseguente destrutturazione e collasso degli stessi.”
Inequivocabile il pericolo derivato comprendente la presenza di paleoalvei (pag. 80) indicate “vie preferenziali di deflusso sotterraneo” (e pure di flusso inverso, di risalita salina), oltre che la falda in pressione compresa tra 9 e 35 metri dal piano campagna (inesplorati gli effetti della depressurizzazione in fase di cantiere, poi in presenza della galleria?) e di lenti di torba a varie profondità (la presenza salina ne favorisce “destrutturazione e collasso” per cedimenti differenziali del suolo).

Per i possibili effetti paventati non sono state svolte le dovute circostanziate verifiche e valutazioni, nemmeno la ricerca di alternative progettuali meno penalizzanti. Restano incombenti gli effetti delle criticità prospettate e pure di quelle non prospettate per l’errata indicazione delle misure dei manufatti, con possibilità di pesanti penalizzazioni economiche non solo per l’agricoltura (salinizzazione suolo), per la sicurezza idraulica dei suoli già prossimi al livello medio-mare (subsidenza), per la stabilità dei manufatti del vicino centro abitato di Tessera e l’urbanizzazione diffusa con attività produttive e ricettive, oltre alle strutture aeroportuali.

Il progetto è stato considerato investimento pubblico, urgente, per le Olimpiadi di Cortina, dove il treno non potrà arrivare non solo per la conclusione dei lavori postuma ma perchè non ci sono e nemmeno previsti i binari per arrivare a Cortina. Per le opere di
cantierizzazione la Relazione indica (pag. 23): “stimata una produzione di acqua di drenaggio di 10.000 m3/giorno” (10 milioni di litri/giorno) e il suo recapito in laguna previo trattamento in impianto di depurazione da realizzare è però assente la valutazione VINCA per lo scarico conseguente nella Laguna Nord ZSC IT3250031 e ZPS IT3250046, che avrebbe dovuto essere compresa nella VIA anche per la destrutturazione del sistema idrogeologico, interdipendente con la laguna, generata dalle opere previste nel sottosuolo.

Nel progetto del “DEPURATORE ACQUE DI EMUNGIMENTO PROVENIENTI DALLO SCAVO DELLA GALLERIA, compreso tra le opere di cantierizzazione si legge: “la subsidenza è legata all’evoluzione naturale dell’area lagunare“. Resta implicitamente esclusa, in carenza di verifica, la possibilità di ricadute negative aggiuntive generate dal progetto nella fascia perilagunare, dove l’infiltrazione salina è determinate per l’evoluzione della subsidenza di un’area interessata da altri pesanti progetti di infrastrutturazione e urbanizzazione, sempre privi di alcuna verifica delle ricadute sul sistema idrogeologico e laguna (impianti sportivi/Bosco dello Sport, nuova viabilità, ampliamento aeroporto Marco Polo).

28.02.2025

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* Urbanista

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