La “Cassa da mar” o “Cassa da drapi”

di Alessandro Dissera Bragadin

In Adriatico, per la sua naturale conformazione, non è possibile pescare in un luogo stabile, ma è necessario muoversi e ricercare il pesce. 

Famosi erano i mitici e forse mitologici, Magnamare; sensitivi che dopo una tempesta, sembra fossero in grado di individuare i banchi di pesce portando le flotte pescherecce nei pressi. 

E’  così che i pescatori dovevano navigare a lungo seguendo la stagionalità dei  pesci, cambiando prede e sistema di pesca. Prima con le grandi Tartane, che pescavano singolarmente o in flotta di unico armatore, ormai definitivamente estinte, poi con i Bragozzi da Mar, barche di 35 piedi veneti (m 12,20), con 3 – 5 membri di equipaggio, marinai e pescatori al tempo stesso. 

Rispetto alle tartane, che raggiungevano i 20 metri di lunghezza, i bragozzi erano più  piccoli, agili, veloci e redditizi, perché trainavano le reti in coppia. Le enormi vele al terzo, avevano una superfice della sola vela maestra, che raggiungeva gli ottanta metri quadri, alla quale si aggiungeva quella della vela di trinchetto. Serviva potenza per trainare le grandi reti e non di rado, durante la normale navigazione, come si nota  nelle immagini pervenuteci, veniva data una mano di terzaroli, la superfice velica, cioè,  veniva ridotta per sicurezza. 

Chioggia aveva il primato come flotta peschereccia più grande d’Italia e il pesce veniva poi portato al  porto più vicino con un altro bragozzo o con topi, che fungevano da portolata.

Di solito i  pescatori da mar (che si differenziavano dalla pesca interna lagunare), facevano 4 grandi crociere per la pesca in un anno, facendo coincidere il rientro con le principali festività locali, sempre religiose. Fra queste la Madonna del  Rosario (la Madonna Marina), protettrice dei pescatori, il Natale e i santi Felice e Fortunato protettori di Chioggia.

Il rientro veniva annunciato da una vedetta che scrutava il mare dal campanile di San Domenico, ecco che le colorate vele, per i loro particolari e personali disegni, davano indicazione di che barca rientrava e la vedetta stessa poteva avvisare le famiglie.

Ogni pescatore così poteva sbarcare, prendendo la sua roba col “fagotto” per recarsi a casa, lasciando le barche ancorate in porto o negli squeri per la manutenzione.

Le soste erano di dieci , quindici giorni poi si riprendeva il mare.

Nonostante le notevoli dimensioni della barca, lo Spazio a bordo era particolarmente angusto, se si pensa che l’altezza sottocoperta di  un bragozzo, cioè  lo spazio in altezza dai paglioli, (il fondo della barca) e il baglio , (le “travi” del “soffitto”), era di circa cm. 80, quindi approcciabili solo a carponi. La maggior parte del tempo si passava in coperta a navigare, manovrare  e pescare ma, sottocoperta, c’era tutta la “vita” del pescatore: i suoi averi, il “fogon” per cucinare e scaldarsi, la stuoia per dormire. 

Ecco che diventava necessario avere un comparto per stivare le cose personali, che concedesse un minimo di quella che oggi definiremmo privacy. Questo comparto era la “Cassa da Mar”.

 Erano casse che restavano a bordo dei bragozzi e il contenuto veniva rimpiazzato e portato a bordo con i “fagotti”, anche quando la barca andava in manutenzione o restava ormeggiata in porto.

Erano normali cassapanche in abete, fatte molte volte con tavole di avanzo dalle costruzioni delle barche, molte volte prive di incastri. Avevano maniglie ai lati, di metallo o fatte con corde di canapa e c’era l’accortezza di tenerle sollevate con dei traversini sul fondo per isolarle dall’umidità.

All’interno avevano due cassettini nella parte superiore, con un coperchietto, per riporre le cose minute, come i bottoni, gli aghi e il filo per le riparazioni dei vestiti ecc., mentre esternamente erano decorate (non tutte) sulle quattro facce, esclusa la posteriore, con motivi fatti dagli stessi pescatori.

Lì dentro l’equipaggio manteneva anche al sicuro le sue cose più care, la pipa e il tabacco, le immagini delle persone care e i pochi oggetti di valore che seguivano il marinante.

Qui presento la mia, che tengo nel mio studio. 

Cassa da mar

Cassa da mar

Avrà circa ‪100-120‬ anni, purtroppo non riporta scene di bragozzi con la vela al terzo, o di pesca, come mi sarebbe piaciuto, ma c’è uno strepitoso ponte di Rialto e qualche nave. ‬

Se ne erano conservate tante a Chioggia perché ormai usate per riporre le “robe vechie” nelle soffitte, ma un po’ alla volta sono diventate legna per le stufe. La mia l’ha trovata mia mamma Marisa, tanti anni fa al mercato a Chioggia e riporta sul coperchio, stranamente curvo, una bandiera Italiana con stemma sabaudo e i motivi decorativi, a volte scaramantici, che spesso si vedono sull’albero o sulla falca dei bragozzi. 

Nella faccia principale un improbabile ponte translagunare, quello Austriaco, con il treno e una nave a vela (tre alberi quindi nave) che improbabilmente naviga passandoci sotto. Probabile che l’artista/pescatore non abbia mai nemmeno visto tale ponte ferroviario, che era posto in una zona lagunare distante da Chioggia (quello automobilistico non era ancora stato fatto), come peraltro l’altro ponte quello di Rialto dipinto su una delle facce piccole, incredibilmente naif e per questo di una bellezza ineguagliabile. 

L’ ultima faccia è dedicata a un cacciatorpediniere in navigazione, macchine avanti tutta, con il fumo nero che sbuffa dai due fumaioli, mentre all’interno del coperchio, cosa comune di tutte le casse, ci sono i santini e la devozione, dovuta da chi rischiava la sua vita ogni santo giorno. 

Nella mia c’è San Francesco Saverio e il preziosissimo sangue di Gesù, ma i motivi più ricorrenti erano comunque San Giorgio e la Madonna Marina, oltre a disegni di nodi d’amore, greche, “boli” scaramantici.

La cosa più caratteristica, che purtroppo non posso trasferire in questo breve articolo, è l’odore che ancora ne pervade l’interno. Sa di tabacco, olio di lino cotto e canapa e di tanta, tantissima storia peschereccia,  di mare e navigazioni eroiche  ormai dimenticate.

immagini sacre nell’interno della Cassa da mar

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